Regia di Ron Howard vedi scheda film
Un survival-movie ben realizzato e umanistico, molto più di quel che appare
“Tredici vite” (disponibile da pochi giorni su Prime Video), l’ultima pellicola di Ron Howard, assomiglia molto a un documentario ma allo stesso tempo è anche film di tensione e opera celebrativa delle capacità dell’essere umano e degli sforzi di solidarietà verso chi è in pericolo di vita.
La vicenda è veramente accaduta ed è nota come l’incidente di Tham Luang: il 23 giugno 2018 dodici adolescenti di una squadra di calcio thailandese e il loro allenatore, addentrandosi in una grotta nella provincia di Chiang Rai, rimasero bloccati al suo interno colti a sorpresa da violenti piogge monsoniche. Il tentativo di salvataggio ha mobilitato migliaia di persone provenienti da decine di Paesi nel mondo.
La sceneggiatura, in sé interessante, sobria e senza tanti fronzoli, si concentra maggiormente sulla parte dedicata ai soccorsi, come detto, proprio per esaltare gli atti più virtuosi di quegli uomini (dal governatore della regione thailandese all’ingegnere idraulico, dai singoli sommozzatori tra i più abili ed esperti al mondo – gli unici in grado di percorrere angusti tunnel allagati – alle migliaia di volontari intervenuti) che hanno dato il massimo per riuscire nell’incredibile impresa; mentre la regia per motivi stilistici evita di soffermarsi troppo sulle giovani vittime bloccate nella grotta allagata.
Tecnicamente e nella messinscena è un film ben realizzato, preciso, asciutto e diretto, e sa trasmettere forte tensione e coinvolgimento emozionale. Notevole è stato in questo senso l’apporto empatico di montaggio, suono e fotografia, nonché le faticose riprese (realistiche quanto avvincenti) effettuate in stretti cunicoli sott’acqua per restituire il lento passare del tempo e tutta la carica claustrofobica, panica e angosciante della sospesa situazione (dall’ingresso della grotta al punto dove erano finiti i ragazzi passano 7 ore e mezza di immersione).
E il film, un survival-movie umanistico, alla fine riesce nel suo duplice intento, di intrattenere lo spettatore, e di immortalare nel modo più naturale possibile l’eccezionale impresa sovraumana.
Merito dell’immediatezza delle immagini, della regia e anche degli attori Viggo Mortensen, Colin Farrell, Joel Edgerton e Tom Bateman, che lontani da personalismi di sorta, si sono ben calati nei loro ruoli, rischiando non poco (a loro dire) nelle riprese subacquee. Di fronte a varie difficoltà che appaiono insormontabili e sono state sotto lo sguardo del mondo intero, lo straziante e impegnativo salvataggio è motivo di commozione generale, proprio come la sottolineatura dell’importanza dei valori del coraggio, della solidarietà, della tenacia e della grandiosità dello spirito umano, quando sa, deve e vuole essere tale...
Allo stesso modo di “Apollo 13”, nel quale i personaggi sono intrappolati e perduti nello spazio, anche in questa sua ultima pellicola Ron Howard ci immerge in altre profondità minacciose, quelle delle viscere della terra al solo scopo di esaltare le reazioni dei singoli individui di fronte ad ostacoli con difficoltà di grado sempre maggiore (qui le correnti, le piogge monsoniche, i crolli delle rocce, la mancanza di ossigeno) dove a prevalere è l’istinto di sopravvivenza.
Così facendo, un po’ come succedeva nei film di Herzog (che meditavano sulla ingovernabilità degli elementi naturali in relazione con l’uomo che li sfida per superare i propri limiti) da una parte o in pellicole più modeste sulla umana sopravvivenza (vedi “Alive – I sopravvissuti”), questo “Tredici vite” si colloca in un territorio di mezzo, dove lo spettatore è chiamato in causa anche a riflettere sulla propria fragilità e precarietà in questo mondo, sulla Natura che ha sempre l’ultima parola su di noi malgrado i nostri sforzi per difenderci da essa, e dunque sull’ovvio ma sempre valido monito a non rovinare e danneggiare l’unico ambiente che abbiamo per (soprav)vivere. E alla luce dei cambiamenti ambientali degli ultimi anni, l’avvertimento suona ancora più urgente e allarmante…
Ultima nota a margine. Un aspetto tematico che si può leggere nel film, anche se non è propriamente o direttamente trattato: il tema della spettacolarizzazione in tv o al cinema, della «realtà del dolore».
Sarà per l’ambientazione claustrofobica in una grotta, sarà per gli intrappolati al suo interno, sarà per il ruolo amplificatore mass-mediatico dietro e davanti a ciò che è accaduto, ma “Tredici vite” rievoca suo malgrado anche uno dei capolavori di Billy Wilder, “Asso nella manica” (“Ace in the hole”).
Nella bellissima pellicola di Wilder, un giornalista senza scrupoli, un convincente Kirk Douglas, approfittava della prigionia di un minatore per creare scoop e progredire in carriera.
Nel film di Howard tutto questo non c’è, non c’è la crudeltà e il cinismo umano, anzi tutto il loro contrario; però c’è un caso di cronaca che fa emergere pregi e difetti della società, c’è qualcosa che ci porta a riflettere sul concetto e sul valore della «spettacolarizzazione del dolore» e sul ruolo dei mass-media nell’approcciarsi ai singoli casi.
Questa vicenda, e tante altre simili, come quella dei minatori cileni nel 2010 o del piccolo Rayan caduto in un pozzo in Marocco a Febbraio 2022, sono tutti esempi di come stampa, tv e cinema, ma anche Internet e social possono divenire un’arma pericolosa, un’arma a doppio taglio nella diffusione e amplificazione della cronaca. Il loro elevato potenziale comunicativo potrà sfuggire di mano ai diretti interessati all’analisi di questi fatti, e senza una professionale giusta attenzione o integra moralità, senza una giusta dose di responsabilità e sensibilità individuale, senza una qualche forma di rispetto di chi ne è coinvolto e di profonda analisi delle vicende, senza un serio perseguimento di criteri e di senso critico, la cronaca potrà essere facile preda di un perverso sfociare verso un volgare e sterile voyeurismo, o peggio ancora, di un degenerare verso una cinica e pericolosa spettacolarizzazione del dolore, una malsana morbosità nei riguardi di tragedie e altri disastri che non farà bene a niente e a nessuno…
La posta in gioco è quindi alta non soltanto per chi è chiamato a salvare e chi deve essere salvato, ma anche per chi è chiamato alla responsabilità del (come) diffondere notizie e immagini legate al caso.
E’ questo l’altro monito che sottotraccia si potrebbe ricavare dal film di Howard o perlomeno è un altro spunto di riflessione che scaturisce da una pellicola piacevole e interessante; un’opera di qualità che vale la pena di essere vista e di cui se ne consiglia la visione.
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