Regia di Christopher Nolan vedi scheda film
Un viaggio nolaniano dentro l'uomo Oppenheimer.
La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.
Christopher Nolan ha sempre congegnato i suoi film come dei viaggi ludici ed emotivi, capaci di trasportare lo spettatore in dimensioni lontane dalla realtà, fantascientifiche, supereroistiche o oniriche, ma sempre rimanendo fedele ad un’idea narrativa che ponesse il tempo e la sua percezione alla base del mistero. Il pathos e l’epica delle sue opere sono frutto tanto di una scrittura scaltra, abile nella creazione e nel rovesciamento delle aspettative, quanto di una capacità unica nel trarre la massima forza evocativa dalle immagini e dal suono.
Pur avendo affrontato storie e generi differenti, il regista inglese ha concepito sempre più il suo cinema come un giocattolo da destrutturare e ricostruire in continuazione e Oppenheimer non fa eccezione a questa regola fondante: pur avendo tra le mani una vicenda e dei personaggi ben saldi nella Storia, l’autore è riuscito a tessere un intreccio carico di tensione, la cui messinscena non vuole rendersi facilmente leggibile, cronologicamente chiara o dialogicamente trasparente. A discostare però l’ultima fatica di Nolan dalla “giocosità” dei suoi lavori precedenti è già il titolo: non più il “cosa”, ma “chi”; il centro del discorso non è l’idea, ma l’uomo. Pur mantenendo le stesse note stilistiche, per la prima volta il viaggio è introspettivo.
Oppenheimer è un biopic incentrato sulla figura del fisico J. Robert Oppenheimer, padre della prima bomba atomica e direttore del progetto Manhattan. Spogliato della forma nolaniana, il film si rivela essere un dramma da camera nel quale a prendersi il palcoscenico sono le parole e i superbi interpreti; specialmente sul piano della scrittura dei personaggi, infatti, questa pellicola rappresenta senza dubbio un ulteriore passo di maturazione per il regista, capace di raccontare un carattere a tutto tondo, sfaccettato e a tratti paradossale, nel suo genio e nelle sue debolezze, mantenendolo sempre al centro, declinando la propria grammatica cinematografica per esplorarne, appunto, le dinamiche interiori. Così il lavoro particolareggiato sul sound design si unisce ad una fotografia che opta spesso per la camera a mano e lo sfocato, ridandoci il senso di inquietudine e confusione del protagonista, mentre la ricostruzione frammentaria e non cronologica delle vicende dialoga in continuazione con la soggettività (a colori) e l’oggettività (bianco e nero) di ciò che si vede a schermo. Se la costruzione dell’epica segue stilemi ormai collaudati, raffinati di film in film, a colpire in Oppenheimer è la capacità dimostrata dall’autore di volgere lo sguardo da un’altra parte, puntando ad un intimismo mai così preponderante nei suoi lavori, senza per questo rinnegare la propria estetica, ma dandole una funzione e una forza nuove, espressioniste; troviamo piuttosto degli spunti nuovi, brevi escursioni nell’horror e nel surrealismo che ci suggeriscono, forse, il Nolan che verrà.
Oppenheimer è l’opera di un regista nel pieno della maturità e della consapevolezza, il quale ha portato (nuovamente) su un altro livello la propria vocazione per un cinema d’intrattenimento, di massa, ma che non rinunci all’amore per il dettaglio, per “l’artigianalità” del prodotto, o ad una cifra autoriale precisa e, tuttora, in evoluzione.
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