La recensione su Monkey Man

di alan smithee

5 stelle

AL CINEMA

Una violenta repressione operata a scopi di lucro da parte di uno spietato uomo d'affari che si cela nelle vesti di un sedicente santone, perpetrata ai danni della umile e pacifica popolazione di un villaggio immerso in una boscaglia verdeggiante, cacciato dal luogo natio per questioni speculative, comporta la morte violenta, tra gli altri, di una giovane madre che, tuttavia, prima di morire, riesce a mettere in salvo il proprio bambino, di nome Kid.

Anni dopo lo stesso ha trovato rifugio presso un folle scommettitore (lo interpreta uno sempre sciroccato Sharlto Copley, abbonato a parti eccentriche e fuori dagli schemi) che organizza incontri di lotta senza regole e clandestini, ove il giovane, mascherato da scimmia, ha quasi sempre il compito di farsi picchiare sodo, fino a perdere incontri assai truccati.

Ma il piano del ragazzo, che conserva ustioni alle mani dai tempi in cui tentò di salvare la madre dal rogo che la uccise, è quello di organizzare una vendetta contro tutta quella organizzazione di ricchissimi che gli distrusse la famiglia e l'infanzia. Nonostante le mille difficoltà e i numerosi inconvenienti, il piano di Kid, per quanto esagerato, improbabile, e a tutti gli effetti quasi assurdo, finisce per risolversi in una sanguinosa e sofferta, ma riuscita vendetta.

Co-sceneggiato, prodotto ed interpretato dal noto attore britannico di evidenti origini indiane Dev Patel, balzato alla notorietà ancora ragazzino grazie agli Oscar di The Millionaire (2008) di Danny Boyle, Monkey Man costituisce anche il galvanizzanti e dinamico esordio pulp dell'attore in qualità di regista.

Girato con una coreografia esaltata e dinamica di virtuosismi, riprese ravvicinate che possono alla lunga anche rivelarsi fastidiose a causa dei costanti close up sin sfacciati e alla lunga ripetitivi e di maniera, che per fortuna cedono lentamente il passo, nel corso della rocambolesca e concitata vicenda, a riprese un po' più ragionate lungo il corso della adrenalinica storia di riscatto, l'esordio di Patel, prodotto tra gli altri da Jordan Peele, è un po' il solito revenge-movie alla John Wich, girato con verve e voglia di stupire, con un ritmo ed uno stile indubbiamente galvanizzanti, ma anche spesso ripetitivi, in cui i cattivi hanno la meglio quasi fino alla fine principalmente per due ragioni: sono la assoluta maggioranza, e non fanno che mettere in atto ognuno il proprio istinto brutale che li disegna come macchiette un po' pedanti e monocordi.

Dev Patel si muove danzando tra lotte e ferite sanguinanti, motivato a non darsi per vinto: la sua presenza scenica è indiscutibile e la vera forza di un film a cui non si può voler male, ma da cui non si può aspettarsi nulla di un déjà vu puntuale e senza eccezioni, anche nell'ambito della cinematografia indiana noir d'autore.

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