Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
E' un film originale girato in luoghi assai poco frequentati dal cinema, su un argomento anch'esso dimenticato. E' una pellicola un po' minimalista e scarna, però dotata di una forza sua che coinvolge a poco a poco, dopo un inizio che sembra senza interesse.
Olmi ci offre una rappresentazione quasi documentaristica del pericoloso mestiere dei recuperanti, che differisce da quello dei rastrellatori di mine per la rivendita come metallo del materiale rinvenuto. A guardar bene, il recuperante non fa nulla di moralmente discutibile, perché raccatta armi abbandonate con il suo duro e pericoloso lavoro, e poi le rivende come materiale civile. A questo proposito, il film contrappone la giusta arte di arrangiarsi e l'iniziativa dei singoli al burocratismo che pervade le istituzioni e non solo, il quale finisce per soffocare la povera gente anziché garantirne i diritti. Si pensi allo stop del comune alla segheria solo per un problema di scartoffie, mentre la disoccupazione dilaga e l'economia è allo stallo. Lo stesso vale per l'ostilità verso i recuperanti.
Mostrando il lavoro di questi ultimi, Olmi apre inoltre uno spaccato intelligente sulla realtà tremenda della I Guerra Mondiale: con pochi accenni il regista riesce a comunicare la tragedia di quell'evento, con i morti e le sofferenze inutili che portò.
Il finale è di quelli senza giudizi su nessuno, dove le persone prendono una certa strada su cui il regista non sembra esprimere alcun punto di vista, e semplicemente rappresenta dei fatti. Anche l'atteggiamento della fidanzata, alla quale non piace il lavoro del protagonista, rimane al di là del giudizio.
Insolitamente per Olmi, alcuni personaggi sono doppiati: il loro italiano perfetto stona un po' con il dialetto o la loquela popolare degli altri. Forse, quindi, era meglio non doppiare nessuno. Di rilievo l'iterpretazione di Antonio Lunardi, che riesce a dare vita a un personaggio complesso e credibile, in bilico tra pazzia e saggezza, e comunque meno pazzo di tanti finti savi.
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