Regia di Michael Haneke vedi scheda film
Storielle di ordinaria crisi e quotidiana, banale incomprensione, che si intrecciano o si sfiorano soltanto, sotto l'impassibile macchina da presa di Haneke. Un lavoro da sempre votato al realismo, al crudo, al nudo, con aspirazioni importanti ed imponenti, come quella di rivelare la violenza della normalità e la normalità della violenza (Benny's video e Funny games, già girati, ma anche i successivi Niente da nascondere e La pianista continueranno a fare il punto sulle deviazioni, sulle apparenze, sulla morbosità fisiologica dell'uomo moderno). Eppure quando in un film non c'è nulla, è inutile raschiare il fondo con le unghie cercando di tirarne fuori una parvenza di contenuto - e patetico è convincersi di avercela fatta: Storie è probabilmente il punto più basso dell'intera filmografia di Haneke proprio perchè il suo stile minimale, ultra-asciutto ed in punta di piedi dà del suo peggio se non è accompagnato da una discreta quantità di sostanza. Qui la sostanza, a dire il vero, non è che manchi: ma è frammentata e dispersa, mutilata ed abbandonata a sè stessa, e talvolta i legami fra le scenette appaiono addirittura pretestuosi: qual è il 'codice sconosciuto' del titolo originale? L'alienazione, il razzismo, la solitudine, l'incomunicabilità, la xenofobia...? In tutto ciò allo spettatore rimane solo l'alternativa schiacciante fra angosciarsi alla ricerca di un barlume di significato oppure arrendersi alla noia pacificamente e passare oltre.
Vicende di personaggi che si toccano o si incrociano: un'attrice di discreta fama, un ragazzo ed il rapporto problematico con suo padre, una scuola per sordomuti, la povertà di immigrati africani e rumeni...
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