Regia di Alejandro Jodorowsky vedi scheda film
Nella visione di Jodorowsky, la religione degli ultimi e del sacrificio affonda le radici nell'orrore, ossia in ciò che è più sgradevole allo sguardo e alla coscienza; e, secondo un uso millenario, con la rivisitazione di quell'orrore, mette in scena la sua folcloristica magia. E così il suo macabro spettacolo rivive in mezzo all'imperfezione umana, senza poterne in alcun modo arginare i vizi e le depravazioni, e anzi, fornendo, col pretesto della sacralità, una copertura a sinistre aberrazioni iniziatiche e rievocative. L'imposizione di un tabù crea un margine di inviolabilità che si sottrae alla giurisdizione della morale e alla prassi del costume, formando una terra di nessuno all'interno della quale tutto si giustifica e nulla si può giudicare. Il mistero cultuale è, di fatto, ciò che non si conosce e che ci sovrasta, e al cui effetto taumaturgico ci sottomettiamo senza far domande. La forza della promessa, per quanto paradossale e contrastante col buon senso, possiede un potere smisurato, che essa, però, presso la cultura popolare, non riesce ad esercitare in astratto, mediante la lettura dei testi sacri e la riflessione sulla divinità. Diventa allora, purtroppo, necessaria la sua traduzione in pratiche concrete, che rendano visibile la divinità, o tramite la sua identificazione con icone venerabili, più o meno personificate, o, in maniera indiretta e per contrasto, attraverso la dimostrazione della spregevolezza (vedi la metafora scatologica) e dell'impotenza della natura umana (vedi l'incapacità di infrangere la pietra). Questi processi, per essere credibili ed efficaci, devono avere il carattere della straordinarietà, della sfida alla normalità, dello scandalo e quindi devono, in un certo senso, attingere alla sfera del proibito. La presenza di quest'ultimo può essere indicata secondo due opposte modalità: o nascondendolo, o, al contrario, ostentandolo, come avviene, ad esempio, per il sangue, considerato divino o impuro a seconda dei credi e delle circostanze. Del resto, la stessa donna nuda può essere, come dimostra eloquentemente Jodorowsky, sia una donna spogliata della sua capacità seduttiva (il trucco, le unghie, i capelli), sia una donna di cui si vuole esaltare la sensualità. La prosaicità della sostanza umana, fatta di carne ed istinto, è una micidiale trappola per il linguaggio evangelico: la scena della prostituta-bambina, alla quale un vecchio mette, nel palmo della mano, il suo occhio di vetro, è la provocatoria ed estrema visualizzazione del vicolo cieco in cui il concetto cristiano fondante del "dono di sé" può essere spinto da frettolose interpretazioni letterali. La parte centrale del film è dedicata alla deificazione dei potenti, la cui consacrazione è sancita da un uso perverso del sesso e delle armi; qui Jodorowsky scatena la propria fantasia grottesca, che per lui significa spennellare lo squallore di tinte vivaci. La varietà delle situazioni inventate è ricca e originale, ma si guarda bene dall'assumere i connotati dell'arte. Quest'ultima, infatti, è la suprema espressione della fertilità e della libertà, che sono le condizioni diametralmente opposte a quelle che Jodorowsky si propone di ritrarre. Magnificamente riassuntivo è il percorso di purificazione finale: un itinerario catartico, allegorico, visionario, enciclopedico, in cui i falsi miti delle religioni si presentano, a tappe, sotto forma di tentazioni diaboliche. L'ispirazione biblica è contenuta anche nel tema delle "prove", di cui è disseminato il viaggio verso la montagna sacra. Memorabile il finale, che risolve ogni travaglio fisico e spirituale rivelando che la vera trascendenza risiede nello scetticismo. "La montagna sacra" è un'opera vulcanica e monumentale, in cui Jodorowsky ci ipnotizza con una pirotecnica densità di simbolismi che, nel crocevia tra arte e filosofia, sono, insieme, ammalianti suggestioni visive e vigorosi stimoli intellettuali.
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