Regia di Alain Resnais vedi scheda film
Mi sembra che Resnais (classe 1922) abbia tentato con "La vita è un romanzo" di ripetere l'operazione riuscitagli alcuni anni prima con "Providence" (1977). Il tentativo, in questo caso, proprio come quello del conte pazzo Forbek, è fallito abbastanza miseramente. La scelta di intrecciare tre vicende più o meno ambientate nello stesso castello in epoche diverse, con tanto di intermezzi musicali che a un certo punto sembrano una brutta copia del "Rocky Horror Picture Show", non funziona. Ricorda un po' il romanzo di Anthony Burgess "La fine della storia", dove s'intrecciano un racconto di fantascienza, una storia su Sigmund Freud, e un musical che vede protagonista Trotskij, ma anche questo romanzo non è tra le migliori opere dello scrittore inglese. Così come questo film è di certo uno dei peggiori di Resnais. E questo nonostante la presenza di attori di valore, da Gassman ad Arditi e Dussollier per passare al lato femminile con Geraldine Chaplin, l'Ardant e l'Azéma (che elargisce un fugacissimo nudo, ma quante smorfiettine!), che sono costretti a recitare dei luoghi comuni, delle maschere, più che dei veri personaggi. E poi c'è il discorso sull'infanzia, che Resnais tenta di penetrare, a mio parere senza successo. Venuto dopo "Mon oncle d'Amerique" (1980), "La vita è un romanzo" ronza ancora intorno ai primi anni della vita dell'uomo e all'educazione da dargli. E qui sta una enorme differenza con i ragazzini raccontati da Truffaut: mentre per quest'ultimo l'infanzia - e poi l'adolescenza - è una condizione dell'anima, per Resnais il bambino è un progetto d'uomo. Forse è per questo che mentre i film di Truffaut sui bambini sono spesso e volentieri sentite opere d'arte, questo di Resnais è un poco riuscito esercizio di stile.
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