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TÁR

Regia di Todd Field vedi scheda film

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La recensione su TÁR

di tobanis
7 stelle

Un film molto distaccato dalla realtà di tutti i giorni, che raggiunge solo nel finale. Ma non è malvagio.

La Tar del titolo sarebbe tale Lydia Tar, personaggio fittizio, direttrice dei Berliner Philharmoniker, dunque all’apice del successo nel suo lavoro. SPOILER!!!!

Il film racconta la sua caduta, causata (ma si suppone) da scandali dovuti ai suoi comportamenti passati, autoritari e dispotici, se non pure ricattatori e vendicativi, nei confronti di altre persone. E infatti abbiamo un’aspirante direttrice che alla fine, veniamo a sapere, si suicida; c’è poi l’assistente della Tar che la molla di punto in bianco, appena capisce che con lei non avrà mai avanzamenti di carriera, e poi si vendica spiattellando vari segreti (che sia stata lei a farlo, si intuisce solo); quindi i Berliner che, per via degli scandali, prima la sospendono, poi la sostituiscono; la protagonista che vaga cercando altre orchestre, il finale.

Allora. Allora, boh. Nel senso che non mi è chiaro l’intento del regista. Voleva fare vedere che la cattiva, alla fine ha avuto quello che si merita? E allora ha fallito su tutta la linea. Voleva fare vedere che la protagonista (un’ottima Cate Blanchett) è la cattiva e gli altri sono le sue vittime? Altro disastro, altro bersaglio non centrato.

Insomma, capiamoci. La sua assistente è bravissima e paziente, dato lo status da diva viziata della direttrice, ma ha anche rotto i maroni. Non ti ha scelto per la promozione? Amen. Non serve scomparire nel nulla e poi “vendicarsi” come una bambina coi filmati e le email. Lo studente “non binario” che si rifiuta di suonare Bach perché costui era bianco e misogino (?), beh, che vada a fare in culo, ha sbagliato mestiere. Durante il film, insomma, non nasce l’astio per la protagonista, ma tutt’altro. Quanto meno, comprensione. Poi, certo, lei è una brutta persona, che si invaghisce pateticamente della nuova violoncellista (non ricambiata) facendo naufragare il suo rapporto di coppia. Il finale è comunque ridicolo, con la sceneggiatura che vuole umiliare definitivamente la protagonista, “ridotta” a dirigere le musiche per un nuovo videogioco. Forse gli sceneggiatori non conoscono il mondo dei videogiochi, porelli, un mondo che fattura più di cinema e musica (streaming compreso) messi assieme. Non parliamo poi rispetto alla musica classica: se i CD o i DVD di classica li trovi nei cestoni dell’Autogrill, magari una domanda dovresti fartela. Pure nei cestoni alla Feltrinelli, li ho visti. Perciò altro che umiliante, se sfonda in quel mondo, quello dei videogames, altro che i Berliner. Certamente, non c’è lo stesso prestigio, soprattutto per un film che raffigura questo mondo estremamente ricco, algido, verboso, chic, intellettuale, dove i protagonisti discutono amabilmente di Schopenhauer in ristoranti stellati. Il film è lungo, forse troppo, ma malgrado il pippone qua sopra è piacevole e si segue volentieri. Io sono per un 7, cioè il classico voto per un bel film che non è un filmone. Ebbe 6 nomination all’Oscar, senza portare nulla a casa; partecipò a Venezia, dove la Cate vinse come migliore attrice. Al botteghino è andato male, malgrado i costi molto limitati. Nota particolare, i titoli di coda sono in testa, e penso che al cinema servisse un telescopio per leggerli. Forse era un test di oculista, boh.

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