Regia di Todd Field vedi scheda film
Venezia 79. Mostra Informazionale d'Arte Cinematografica.
Seduta davanti alla telecamera Lydia Tár è pienamente a suo agio. Abituata a dirigere un'orchestra non può certo indietreggiare di fronte ad un microfono, e le sciocche domande del suo intervistatore non possono minimamente impensierire colei che tutti hanno ribattezzato come "la prima donna a". Ambiziosa, elegante e preparata nella sua materia Lydia Tár sembra persino simpatica ad un pubblico attento e scrupoloso che percepisce l'arroganza come vezzo perdonabile di un direttore che s'è fatto il mazzo per dirigere la Berliner Philharmonisches Orchester. "La prima donna a", tuttavia, non è titolo sufficiente per una come lei. Lei che lavora strenuamente per accorciare la frase a tre lettere soltanto: "La prima a".
Il nome Tár è legato ad un benemerito fondo che promuove le artiste in un ambiente prettamente maschile. Un onore e un dovere un tantino noiosi come condurre un ensemble di strumenti indisciplinati lungo la strada prodotta dalle note di Mahler. C'è in ballo un'importante registrazione del compositore austriaco che richiede l'attenzione di bacchetta e strumenti. Ma a Lydia Tár forse non basta l'inchino dovuto al pubblico pagante e gli applausi scroscianti, così come non basta la consapevolezza del proprio peso in un ambiente che venera la sua figura. È la musica a rendere immortali gli uomini ed il maestro sente di reggere lo sguardo altero di Bach, Mozart e qualsiasi altro venuto prima di lei.
L'esecuzione delle opere del passato sono un limite alla sua grandezza per cui appena può Lydia Tár corre nel suo vecchio appartamento per comporre la musica che in futuro verrà associata ai grandi nomi dello spartito. Tra lezioni a studentelli senza un briciolo di talento e di audacia, sfiancanti sessioni di prove, pranzi di lavoro e incombenze amministrative, Lydia Tár si nasconde per non essere disturbata dalle frivolezze della vita, dalla compagna gelosa ed insicura, dalle fastidiose convenzioni sociali a cui si deve sottoporre per ottemperare al suo ruolo.
Come ogni persona di successo il "maestro" è, però, sedotto dal potere che esercita durante una masterclass; è rapito dall'ombra sadica e violenta con cui ricopre una bulletta, compagna di classe della figlia; è preda del controllo ossessivo esercitato sulle persone, di cui può disfarsi senza rimorso vista la loro palese insignificanza.
Il potere inebriante finisce, tuttavia, per portare cattivo consiglio a chi lo esercita senza un minimo di lungimiranza. Ogni errore disseminato lungo il proprio percorso può causare grattacapi futuri a cui non sempre si può essere immuni. Lungi dall'essere al di sopra delle parti ogni essere umano che abusi del proprio fascino e della propria arroganza è chiamato a darne conto in un dato momento.
Dov'è iniziata, dunque, la repentina discesa agli inferi "della prima a"? Una serie di mail, un libro inviato per posta ed, infine, un suicidio sembrano indicare il punto d'origine del cammino inverso che decreta la fine immancabile di ogni privilegio.
I miseri orrori del passato, commessi per eccesso di sicurezza e smisurata arroganza, gridano vendetta lasciando intendere che ciò che si raccoglie è quanto si è seminato in precedenza.
Todd Field l'avevo dato per perso. Due film in carriera ed una folgorante opera prima collocati nei primi anni del millennio. Da allora sedici anni di silenzio. Una storia, la sua, che aveva preso una piega fortemente malickiana, felicemente conclusa con la presentazione del film in concorso alla Mostra del Cinema. Un'attesa lunga ma che, se è servita a raccogliere le idee, è stata davvero utile allo scopo poiché "Tár" è un'opera di grande fascino e piuttosto lontana dal politically correct odierno.
Field offre a Cate Blanchett un personaggio straordinario e ne ottiene in cambio un'interpretazione che esalta il singolo aspetto di una personalità sfaccettata in cui convivono talento e miseria, esercizio del potere e perdita dell'autocontrollo. Come una partitura movimentata ed irruenta che si sposta dall'adagio all'allegretto Lydia Tár è ora cinica e fredda, ora passionale e orgogliosa.
La musica è il cuore pulsante del film persino se non si sente. Alcune sequenze, ad essa dedicate, sono memorabili come le lunghe sessioni di prova e l'intervista iniziale. La lezione al Juilliard disinnesca, per mano di una donna, la cancel culture americana sul cui altare vengono immolate le opere d'arte di autori non più allineati al pensiero del momento.
Non mancherà di far discutere, ed in parte è già successo, il fatto di rappresentare la donna nel suo istinto di emulare l'uomo fino a concepire il desiderio di non essere se stessa. Non solo Lydia Tár è lesbica ma chiede alla figlia Petra di farsi identificare come suo padre nei rapporti con le compagne di classe. Lydia non è così interessata alle pari opportunità lavorative tanto da emulare gli stessi atteggiamenti tossici che il movimento #MeToo condanna negli uomini.
È chiaro allora che il film di Todd Field parla di rapacità sessuale, di nepotismo e discriminazione in senso pieno perché il potere corrompe l'animo di chiunque, senza distinzione di genere, facendo a brandelli il senso di giustizia e legittimità. In questo il film di Field è molto più democratico che mai. Ad entrambi i sessi oneri e onori.
Todd Field è tornato, dunque, con un bellisimo film, coraggioso nel puntare la bacchetta contro l'ipocrisia di chi vorrebbe buttare tutto nel cesso e tirare lo sciacquone. L'ultimo concerto è una cinica e sferzante dichiarazione d'intenti contro il pensiero dilagante. Chi commette errori inammissibili deve rimediare. L'arte, però, non può e non deve pagare il prezzo degli errori umani.
La maga Cate Blanchett muove ancora la bacchetta. Dal legno magico si riproduce l'incantesimo fatato. Le note non temono prigioni e si diffondono una volta per tutte nell'aria.
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