Regia di Todd Field vedi scheda film
Una grandiosa prova d'attrice in un un ritratto perfettamente sceneggiato e psiclogicamente approfondito di un’immaginaria donna d’arte e di successo: apogeo e caduta della celebrata direttrice d’orchestra della Filarmonica di Berlino Lydia Tár.
79ma MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA 2022 – IN CONCORSO
E’ subito colpo di fulmine quando la voce e il volto di una Cate Blanchett in stato di grazia riempiono lo schermo e le casse nelle prime sequenze: un’intervista alla celebrata direttrice d’orchestra della Filarmonica di Berlino Lydia Tár, che si accinge a completare il ciclo di Mahler, punto d’arrivo dei più grandi direttori d’orchestra, con la registrazione dal vivo della Quinta Sinfonia e contemporaneamente a lanciare sul mercato la sua autobiografia celebrativa Tar on Tar.
Un film d’attrice certamente questo ritratto di un’immaginaria donna d’arte e di successo al culmine della carriera che vedrà la sua immagine dapprima appannata e poi sbriciolata da una serie di insinuazioni e scandali, nati a dire il vero dalla sua abitudine di favorire la carriera di avvenenti e promettenti musiciste di cui si infatua, suscitando inevitabilmente invidie e gelosie e restando vulnerabile alle personalità borderline che ha illuso e poi abbandonato.
Un dramma psicologico in cui la Blanchett si può sbizzarrire a creare un personaggio a tutto tondo, complesso e contraddittoriamente umano nell’ascesa e nella caduta, incarnandone l’autorevolezza un po’ distaccata della figura pubblica e la verve sovente autoritaria con la bacchetta in pugno, la straordinaria competenza musicale ma anche l’intima fragilità di una donna spesso isolata sul suo podio, con le sue inconfessate paure di essere giudicata e le sue bugie dalle gambe corte, inventando tutti i manierismi e le inflessioni di voce della sua Lidya Tar, la quale entra di diritto nella galleria delle migliori interpretazioni della grande attrice australiana, che meriterebbe di aggiungere una seconda Coppa Volpi alla bacheca dei suoi ormai innumerevoli premi (l’ha già vinta per I’m Not There nel 2007).
Cate Blanchett saluta il pubblico sul red carpet alla prima di TÁR: date una Coppa Volpi a questa donna!
Ma non siamo di fronte ad uno di quei film dove tutto è solamente funzionale ad un’interpretazione, una performance d’attore magari straordinaria ma appoggiata su un compitino scialbo da parte delle altre componenti di un lungometraggio cinematografico. Al contrario, Tar di Todd Field è senza dubbio dotato di una scrittura egregia, che sa scandagliare a fondo con intelligenza e profondità piscologica la vita e la personalità della sua protagonista, prendendosi tutto il tempo che serve (quasi tre ore) ma senza mai stufare o farci guardare l’orologio e offrendo pertanto abbondante materiale narrativo di alta qualità alla sua attrice.
Quanto colpisce l’acutezza con cui la sceneggiatura sa analizzare i duelli intellettuali di Lidya, donna e lesbica dichiarata in un ambiente tradizionalmente maschile, con la rigidità dogmatica di alcuni studenti iperpoliticizzati a sinistra che addirittura rifiutano di studiare Bach perché considerato maschilista. O la finezza psicologica con cui svela la tela che Lydia pian piano tesse con l’ultima delle sue protette o come gestisce i rapporti di potere interni all’orchestra, rivelando anche un lavoro realmente approfondito di ricerca da parte dell’autore sul mondo dei musicisti classici che porta in scena.
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