Regia di Giuseppe Bertolucci vedi scheda film
Un film con Benigni e non di Benigni mai snob o urbano.
L’esordio di Bertolucci ( Giuseppe) e di Benigni (attore) sul grande schermo è un film carnale, ruspante e corporale. Mario Cioni era già apparso in tutta la sua scurrilità in tv qui irrompe al cinema in un cinema appunto, in un decennio, i settanta, nel quale certi film si potevano vedere solo in sala insieme ad altre persone. Il comico toscano può far eruttare la sua volgarità in maniera torrenziale, la sua fede politica e la sua voglia di sesso sono un tutt’uno che si scontra con un rapporto esclusivo e tormentato con la madre vedova, che vede il figlio come un frutto acerbo da convertire a Dio e da sistemare con una moglie purché sia. Lui sogna, immagina il comunismo come puro godimento della carne prima che dell' anima, è convinto che il futuro sarà migliore del presente perchè ha fiducia nel proprio leader e non vuole lasciare la sua mamma per una donna qualsiasi. Quando gli amici gli fanno credere la morte della madre Cioni esplode in un monologo-piano sequenza vernacolare e burroughsiano al punto da farmi sospettare influenze toscano-dialettali per lo scrittore americano. I dialoghi con se stesso di Benigni spaziano dalla rivoluzione all’inferno e al paradiso, dalla necessità fisica della rivolta cosi come delle pratiche onanistiche. La visceralità del toscano qui viene regolata dal regista che gli affianca una coralità di facce e attori efficaci come il Monni simbolo per sempre di una toscanità sanguigna e verace. Un’Italia ignorante di certi temi che al dibattito preferisce la tombola che deve comunque pagare per vedere donne nude. Una provincia che non conosce il politicamente corretto e il fatalismo di oggi. Un opera comica e drammatica alla fine più agra che dolce, dove politica e sentimenti si toccano, surreale e concreto si sposano.
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