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Regia di Alex de la Iglesia vedi scheda film

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La recensione su La comunidad

di chinaski
6 stelle

La cifra stilistica di questa opera è quella del pastiche e della contaminazione di generi, una delle caratteristiche principali del postmoderno, secondo alcuni teorici. Insieme alla scrittura di testi filmici che si basino su elementi di altri film o sulla rielaborazione narrativa (anche in chiave parodistica, come in questo caso) dell’immaginario cinematografico collettivo.

Alex de la Iglesia parte da Hicthcock e Polanski (l’Inquilino del terzo piano) e popola il suo strambo condominio di quella vitalità tanto cara ad Almodóvar, del quale ritroviamo anche l’uso del colore e un’attrice feticcio, Carmen Maura, nella parte di Julia.

Per il resto il film non è altro che un gioco del regista con lo spettatore, con l’intenzione del primo di spiazzare sempre la visione del secondo inscenando le situazioni più grottesche. A volte si scivola nella commedia altre nell’orrore, con sangue e violenza ingiustificata, altre ancora nella parodia ed è qui che si manifesta la contaminazione di generi di cui si parlava prima. Il tutto avvolto da una luce forte e costante, anche sotto la pioggia, che si alterna al buio sudicio e inquietante dell’appartamento di un inquilino morto, i cui solidi nascosti e ritrovati da Julia metteranno in moto gli elementi più svariati del meccanismo a incastro della sceneggiatura.

La pellicola però finisce per perdere la sua carica iniziale e a divenire prevedibile una volta che il gioco al massacro è stato scoperto. In una girandola di colpi di scena che diventa accumulo narrativo, altra caratteristica peculiare del postmoderno, secondo alcuni critici. Mentre vengono tenute in bilico sul baratro del ridicolo le possibili spiegazioni psicologiche sull’avidità umana e l’egoismo e il bisogno di una comunità che ci aiuti (o perseguiti).

Poi un finale delirante e farsesco, sui tetti del Banco de Bilbao a Madrid, in una coreografia di sgargianti (e inutili) movimenti di macchina, accompagnata da una girandola di soldi finti del monopoli svolazzanti nel cielo, ci lascia il dubbio che il film, in fondo, possa essere stata una grande stronzata.

Molti però sono i momenti divertenti, vitale e sanguigna l’interpretazione di Carmen Maura e geniale il tonto (Eduardo Antuña) che si maschera da Darth Vader e che si eccita e si masturba vedendo Julia sotto la doccia.

Un cinema di questo tipo si nutre di se stesso e di quello che lo ha preceduto e si è trasformato nel tempo in un vero e proprio (sotto)genere. 

L’unico rischio è che non diventi come il serpente che si mangia la coda. Credendo di nutrirsi il serpente finisce per suicidarsi.

 

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