Regia di Bahman Ghobadi vedi scheda film
Il confine tra Iran e Iraq,nella regione senza patria del Kurdistan, dilaniata tra vari Stati che sembrano non volerla, è il teatro quotidiano di una lotta per la sopravvivenza dalla notte dei tempi.Un confine concreto (ma anche metaforico come vediamo alla fine del film) da oltrepassare per piccoli contrabbandi che permettono a una popolazione ben al di sotto alla soglia di povertà di sopravvivere, montagne innevate e campi minati assassini, muli ubriacati per non far sentire loro il freddo e la fatica, carichi di copertoni di trattore che arrancano sui pendii imbiancati per portare in Iraq il loro povero carico. Sempre che una mina o qualche imboscata impedisca il tutto.
E' questo il brandello di mondo descritto ne Il tempo dei cavalli ubriachi.
Oltre che su questo quadro desolante la cinepresa di Ghobadi( iraniano di etnia curda) posa il suo sguardo su un gruppo di fratelli che dopo aver perso la madre ora sono rimasti anche senza padre. Bambini a cui è stata rubata l'infanzia, cresciuti troppo presto tra la fame e le bombe. Il più grande di loro è Madi, che in realtà fisicamente è il più piccolo perchè una malattia bastarda gli ha impedito di crescere.
Suo fratello e le sue sorelle si dedicano a lui in maniera ammirevole, commovente, il dottore del paese gli dice che Madi deve essere operato per avere speranza di sopravvivere e loro cercano in tutte le maniere di procurarsi i soldi per l'intervento.
Rischiando la vita nei viaggi oltreconfine e addirittura accettando un matrimonio per procura con un iraqeno.
Straziante la scena in campo lungo( molto kiarostamiana) in cui la futura suocera venendo meno ai patti rimanda dietro Madi affermando che non può occuparsi di lui e che di uno storpio non sa che farsene, barattando alla fine la sua coscienza con un mulo.
Vidi Il tempo dei cavalli ubriachi al cinema e suscitò in me un'emozione fortissima.
Da allora non l'avevo più rivisto ed ero veramente curioso di sapere se l'impatto emotivo di allora si era mitigato col passare degli anni.
Invece no. Mi sono emozionato a questa storia come la prima volta.
La cinepresa di Ghobadi sembra quasi non raccontare una storia,documenta la realtà alla stessa maniera del neorealismo o della copiosa cinematografia del maestro Kiarostami(di cui è stato assistente).
La sua è pura verità girata a 24 fotogrammi al secondo ( come direbbe Godard), lo sguardo tenero e impaurito di Madi, un ragazzo costretto nel corpo e nel cervello di un bambino, è il simbolo di una lotta costante e dall'esito sempre incerto per riuscire a terminare la giornata.
Verrebbe quasi da distogliere lo sguardo da questo inferno sceso in terra, lembo di terra dimenticato da Dio, questo non luogo in cui i diritti umani vengono costantemente negati è un urlo alla coscienza di tutti quelli che sono abituati a vivere nell'opulenza senza apprezzarlo .
Molti non sanno neanche che alle soglie del terzo millennio ci sono uomini che vivono con così poco.
Eppure la loro speranza è incrollabile.
regia ammirevole per la delicatezza con cui sfiora i bambii protagonisti
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