Regia di Bahman Ghobadi vedi scheda film
Il regista avverte nella didascalia che precede il film, e che giustifica anche la scelta di far parlare il film in curdo, che i personaggi sono inventati, ma ispirati a storie vere, in quanto nel Kurdistan, la regione che è attualmente divisa tra Turchia, Iraq, Iran e Siria, moltissime persone vivono in estrema miseria, cercando ogni giorno gli espedienti da mettere in atto per strappare un'altra giornata di vita. Senza usare espedienti ricattatori, il film, che può essere definito un "Ladri di biciclette" o uno "Sciuscià" dei nostri giorni, porta lo spettatore sull'orlo delle lacrime (anche me, lo ammetto) più di una volta. Narrato per bocca della quartogenita, la piccola Amaneh che scrive moltissimo e ha sempre bisogno di nuovi (e costosi) quaderni, il film di Ghobadi, breve e senza fronzoli ma toccante nell'intimo (impossibile non commuoversi di fronte al triste destino del piccolo, benché quindicenne, Madi), ha il respiro profondo e dirompente del capolavoro.
I cavalli ubriachi sono quelli dei contrabbandieri che trasportano merce dal Kurdistan ai mercati dell'Iran e dell'Iraq attraverso le impervie e innevate montagne curde. Ai cavalli e ai muli viene somministrata, per meglio resistere al freddo, acqua mista ad alcol. La storia del film è quella di cinque fratelli dai diciassette (credo) ai tre anni, orfani di mamma, deceduta nel dare alla luce l'ultimogenita, qi quali muore anche il padre, vittima di un'imboscata della polizia di frontiera mentre trasporta merce di contrabbando. Fra l'altro uno dei ragazzini, Madi, il mezzano, è gravemente malato e destinato a morire se non saranno trovati i soldi per sottoporlo ad un'operazione chirurgica.
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