Regia di Nagisa Oshima vedi scheda film
Giappone 1865, verso la fine dell’era Edo. Nel paese sull’orlo della guerra civile i samurai fedeli agli Shogunati (e quindi alla conservazione) si costituiscono in scuole dove addestrano i guerrieri a contrastare i rivoluzionari e a mantenere l’ordine sociale. In una di queste, la Shinsen-gumi, un giovane cadetto effeminato, Kano, viene corteggiato dai compagni e da alcuni ufficiali. Il ragazzo è forse innamorato di Tashiro, il suo primo compagno d’armi. Quando un superiore viene trovato ucciso, proprio Tashiro è sospettato dell’omicidio. Ecco, di nuovo, l’impero dei sensi. Quella zona folgorante ma oscura dell’animo umano in cui la Ragione non sembra avere alcun (pre)dominio. E in cui le convenzioni (sociali, dunque anche militari) non dettano alcuna regola. Il maestro Nagisa Oshima crea una fantasmagoria che proietta la sua luce sulla Storia (quella giapponese di fine ’800, a un passo dalla disgregazione) e su un microcosmo chiuso, ancora una volta di guerrieri, come ai tempi di “Furyo” (1983, sempre con Beat Takeshi tra i protagonisti). Nella scuola Shinsen-gumi la seduzione di Kano, diretta o indiretta, si articola come in un teorema di difficile soluzione. Di fronte alla potenza devastatrice dell’Eros, la prima cosa che subisce i contraccolpi del disordine e della trasgressione è proprio il “gohatto”, il severissimo codice di disciplina dei samurai. Poi è a livello personale che ogni inibizione si rivela illusoria (grande il sergente che cerca di resistere alla seduzione). Accompagnato dalle ipnotiche armonie di Ryuichi Sakamoto, Oshima conduce lo spettatore in un viaggio sempre più visionario e ormai del tutto interiore, che ha la sua resa dei conti (anche estetica) nella splendida sequenza finale, quando Kitano (il vice-comandante) cerca di capire quale versione dei fatti sia credibile. Senza sapere che la verità non esiste. Ci sono solo storie.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta