Regia di Olivia Newman vedi scheda film
CINEMA OLTRECONFINE
Nelle sale francesi già in programmazione, La ragazza della palude (Where the Crawdads Sing) è reduce dalla presentazione ufficiale al Festival di Locarlo in occasione dell’assegnazione del prestigioso Leopard Club Award 2022 alla giovane ma assai apprezzata e lanciata attrice britannica Daisy Edgar-Jones.
Molti la ricorderanno protagonista della serie cult Normal People, mentre i più cinefili probabilmente non scorderanno la sua determinazione a salvarsi nell’inquietante horror cannibalesco Fresh.
Il film uscirà nelle nostre sale il 13 ottobre distribuito da Sony Pictures.
Ad inizio anni ’50 una bimba di nome Kya, vive la sua infanzia in una famiglia poco armoniosa, ove ognuno dei membri è succube della violenza del capo famiglia dispotico e manesco.
Quando sia la madre che il fratello fuggono per cercare scampo dall’ira incontrollata dell’uomo, la piccola rimane sola con l’uomo, finché pure lui la abbandona.
Sola, circondata da una tollerante coppia vicini di colore titolari di un piccolo negozio di alimentari che la proteggono e cercano di evitare che venga data in affido, Kya si aprirà poco per volta al mondo civilizzato che poco conosce, vivendo in una casa circondata da acquitrini e un rigoglio naturale affascinante quanto fuori dal comune.
Le due storie d’amore che la ragazza avrà occasione di vivere, la indurranno ad affrontare due tipologie di uomini opposti nei modi e nelle intenzioni, che corrisponderanno alle gioie e ai dolori che in via generale costituiscono l’essenza del vivere di quasi ogni individuo.
Con la morte di uno di essi Kya diverrà la sospettata più accreditata di un omicidio, sulle prime considerato invece la conseguenza di un terribile incidente.
Tratto dall’omonimo romanzo di Delia Owens datato 2018, La ragazza della palude, il cui titolo originale (Where the crawdads sing) suona decisamente più incisivo e peculiare del luogo paludoso ove si svolge l’intera vicenda, è davvero un vero e proprio ‘polpettone’.
Un polpettone che riesce però anche ad appassionare, come avviene probabilmente già attraverso le pagine del romanzo sentimentale da cui il film è tratto.
La vicenda ben fotografa i tratti contrastati di un’America anni ’60 perbenista di facciata, ma razzista e discriminatoria nel suo agire concreto e si tinge di qualche pizzico di velleità da thriller processuale.
Con questo ultimo espediente narrativo, si tenta, senza troppo mordente, di rendere incalzante la scoperta di una verità su cui poi la storia pare glissare clamorosamente, alla ricerca di altri spunti, decisamente più sentimentali e sdolcinati.
La regista Olivia Newman dirige con mano classica, ma con un certo puntiglio, una vicenda che parte come un’epopea familiare narrata in uno stile suggestivo alla “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno”.
Poi lo script ricorre all’utilizzo di flashback ed ad un io narrante un po’ scontato per consentire allo spettatore di tener testa all’indagine processuale posta al centro della fitta e complessa rete di eventi.
A risultare davvero interessanti e vincenti finiscono per rivelarsi comunque due aspetti in particolare:
innanzi tutto la splendida ambientazione. Una natura ancora parzialmente incontaminata si cela dentro le paludi di un North Carolina ancora estraneo a speculazioni edilizie ed ad altre storture tipiche di uno sviluppo industriale fuori controllo.
Il paesaggio trova spunti davvero suggestivi all’occhio dello spettatore: riprese studiate per piacere a tutti i costi, che sfiorano lo stucchevole, ma restano in memoria come uno degli elementi più significativi del film.
In secondo luogo la presenza, in qualità di protagonista, della bellissima e seducente attrice ventiquattrenne Daisy Edgar-Jones (la nuova Kirsten Stewart?), nota ai cultori dei serial tv come nome di punta della miniserie Normal People.
La giovane attrice riesce a conferire un piglio interessante al suo personaggio di donna sola che sa riscattarsi sino a raggiungere la propria realizzazione professionale ed economica, senza per questo riuscire mai a convincerci della propria assoluta innocenza.
L’ambiguità del personaggio di Kya, tormentata da una sorte avversa che conosce pochi rivali, diventa anzi uno dei motivi di suggestione più convincenti di tutta la controversa storia.
Il risvolto processuale, tuttavia, non presenta particolare mordente e lo stesso personaggio dell’avvocato difensore dell’imputata protagonista, interpretato dall’altrove quasi sempre impeccabile David Strathairn, appare poco sviscerato e costretto ad una performance troppo in sordina.
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