Regia di Dan Trachtenberg vedi scheda film
Naru (Più Furba di un Castoro) & Sarii.
Quinto film della saga (il cui trait d’union sono i co-produttori John Davies e Lawrence Gordon) ideata da James “Jim” E. e John C. Thomas e nel tempo realizzata da John McTiernan e Stephen Hopkins (‘80-’90, sceneggiati dai Thomas e co-prodotti con Joel Silver) e da Nimród Antal e Shane Black (‘10, con l’apporto, agli script, di Robert Rodriguez e Fred Dekker), più i crossover intermedi (‘00, con W.Hill e D.O’Bannon che mettono in mano le loro creature all’Anderson meno dotato del terzetto non consanguineo, PWS, e ad un’altra coppia di fratelli, gli Strause) con quella di Alien, “Prey” (il cui titolo vorrebbe ingannevolmente suggerire un evidente spostamento del focus, da predatore a preda, quando in realtà il nocciolo della trama è ovviamente il solito di sempre: invece un vero mutamento di paradigma sarebbe quello, ad esempio, di assumere il PdV del cacciatore) è un prequel - va beh, dai, ché remake pare brutto - ambientato nelle Grandi Pianure Centro-Settentrionali dell’America del Nord (location: le terre Stoney Nakoda dell’Alberta, in Canada) quando, nella prima metà del XVIII secolo, una delle ultime tribù comanche…
{il film era stato originariamente pensato per essere interamente parlato in quella lingua uto-azteca del ramo numico, poi quando la Disney ha rilevato la Fox quest’opzione è stata quasi interamente cassata a favore dell’inglese [e, nota di merito, di un francese quasi relegato - per fondate ragioni facilmente comprensibili ai più (non minus habens), almeno si spera - ad un inintelligibile borbottio di fondo] interrotto solo raramente con qualche saltuaria spruzzata d’indigeno, ma ne esiste una versione doppiata dagli stessi attori in lingua “originale”, che ovviamente in teoria sarebbe preferibile a qualsiasi altra, se non fosse che l'operazione è riuscita solamente in parte}
…non ancora migrate verso sud con Canis lupus familiaris (carolina/yellow dog o american/dixie dingo: Sarii, interpretata da Coco, bravissima di suo, ottimamente ammaestrata per l’occasione ed eccellentemente diretta) ed Equus ferus caballus (american indian horse) riceve la visita di un puma, di un orso, dei francesi (da questo PdV il film funziona pure meglio di “the Revenant”) e di uno yautja…
Ma è soprattutto - oltre alla solida e valida regìa del Dan Trachtenberg di “10 CloverField Lane” e “Black Mirror: PlayTest” e alla canonica (al franchise, al genere e alle aspettative) sceneggiatura di Patrick Aison - grazie alla prestazione della coreograficamente aggraziata furia pacioccosa, cazzutamente splendida sin dal nome, di Amber Midthunder (due piccole parti in “LongMire” e in “Hell or High Water”, poi il gran bel ruolo di Kerry in “Legion” di Noah Hawley e protagonista di “the Wheel” di Steve Pink e di “Roswell, New Mexico”), appartenente al popolo Assiniboine (Nakota, Lakota, Dakota e gli stessi Nakoda) e coadiuvata da un cast all’altezza (su tutti il brillantemente convincente esordio di Dakota Beavers, che interpreta il fratello maggiore della protagonista), che il film trova e propone la sua ragion d’essere: Naru (detta anche “Più Furba di un Castoro”) vs. the Predator (a corollario di ciò il “Safari” di Ulrich Seidl è perfetto, e viceversa).
[Per il “prequel (o sequel pirata-caraibico) del prequel”… citofonare Raphael Adolini (Bennett Taylor).]
[A Sx, un castoro americano (Castor canadensis) seduto sulla coda; a Dx, un Castorino de la Nuova Italia / il Castoro Cinema.]
Fotografia: Jeff Cutter (“10 CloverField Lane”). Montaggio: Angela M. Catanzaro & Claudia Castello. Musiche (molto valide): Sarah Schachner. VFX/CGI (ben inseriti ed utilizzati, senza troppe stroppiature): Ryan Cook. Co-produzione: Jhane Myers.
“Curioso” (ma ben poco professionale) blooper, facilmente risolvibile per le future trasmissioni in streaming (Hulu/Disney) e per le uscite su supporto fisico semplicemente ribaltando orizzontalmente di 180° la ripresa: la gamba mozzata di Big Beard (Mike Paterson) passa per la durata di una breve inquadratura da destra a sinistra.
E no, “Prey” non può certo essere definito un film malickiano, ma i primi 10 minuti bucolico-introduttivi contengono almeno due momenti che valgono il prezzo del biglietto, fisico e/o virtuale: la breve sequenza pre-albeggiante che dall’interno del thípi, con un carrello in avanti, trasporta lo spettatore nel pieno del villaggio, e il long-take in steady-cam, della durata di poco più di un minuto, messa prima a seguire e poi a precedere Midthunder in una quotidiana camminata (esplorativo-cronachistica per lo spettatore) tra le tende dell’accampamento indigeno-amerindo.
Parimenti riuscitissime le scene d'azione.
* * * ½/¾ - 7.25
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