La giovane guerriera Naru ambisce a che le venga riconosciuto questo ruolo nell'ambito della tribù dei Comanche alla quale appartiene, in un periodo attorno al primo ventennio del 1700, nelle amene e verdeggianti valli delle Grandi Pianure, tra gli attuali Stati Uniti ed il Canada.
La sua prova di ammissione sarà più dura del previsto, in quanto la ragazza non dovrà accontentarsi di affrontare fiere come orsi e leoni (leoni??? basta andare su google per accertarsi che non esistono in quel territorio più leoni dal Pleistocene...).
Dal cielo infatti si materializza quello che la ragazza riconosce come "L'uccello di fuoco", non sapendo che, invece, si tratta della navicella spaziale contenente una specie evoluta e micidiale come i Predator, giunti in quel pianeta per colonizzarlo e sfruttarlo a piacimento.
Un essere che noi spettatori conosciamo sin bene da quel 1987 in cui apparve per la prima volta a dare noia al Commando capitanato niente meno che da Arnold Swarzenegger.
Settimo capitolo di una serie iniziata appunto nel 1987, proseguita con un sequel, due Predator Vs. Alien e due reboots come Predators al plurale (piuttosto fatto bene, nel 2010, da Nimrod Antal con Adrien Brody e Alice Braga), ed il deludente The Predator, di Shane Black, ecco un prequel che intende partire, se non dalle origini, da un periodo così remoto da esser lecito possa esser passato inosservato all'attenzione umana.
La curiosità c'era tutta, anche perché il regista coinvolto porta il nome favorevolmente noto di Dan Trachtenberg, già autore di ambiziose e riuscite riproposizioni di cult come il suo riuscito ed originale 10 Cloverfield Lane, a sua volta liberamente ispirato al predecessore Cloverfield, senza tuttavia esserne un seguito.
Ma stavolta, dopo una prima mezz'ora anche interessante per l'ambientazione straordinaria nelle boscaglie di un Nord America davvero amene, la suggestione della sfida che si crea tra la ambiziosa giovane guerriera non valorizzata ed anzi bullizzata dai maschi suoi coetanei, e l'implacabile mostro armato sino ai denti e per di più pure invisibile, finisce per rivelarsi assurda, come assurda e semplicistica è la sfida finale all'arma bianca (anche se la protagonista impara a sparare) contro un alieno che, più di 250 anni dopo, darà del serio filo da torcere al buon Swarzy e ai suoi commilitoni super palestrati ed armati sino ai denti.
Inaccettabili anche e soprattutto i dialoghi, che certo il doppiaggio probabilmente non aiuta a rendere plausibili, e che ci presenta i giovani nativi americani intenti a comunicare in un linguaggio fornito e ricercato inverosimile e ridicolo, che li accomuna a certi dottorandi di oggi intenti a discutere la propria tesi.
La improbabile definizione del leone come "felino", la dice tutta sulla imperdonabile trascuratezza storica che è stata riservata alla stesura dei dialoghi, degni di uno sceneggiatone storico televisivo superficiale.
Nel cast efficace nel riproporre attori che assomiglino a nativi americani, la protagonista Amber Midthunder, recentemente vista assieme a Liam Neeson ne L'uomo dei ghiacci, appare volenterosa nell'impegnarsi oltre ogni immaginazione a tentare di rendere minimamente plausibile una sfida già sulla carta impossibile a proporsi.
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