Regia di Michael Powell, Emeric Pressburger vedi scheda film
Prima che registi, Powell e Pressburger sono due uomini con le palle; perché dite? Semplice! Ho visto Duello a Berlino (1943) e tale capolavoro è frutto di un autentico atto di coraggio non solo artistico, ma anche e soprattutto morale e civile. Prima opera del duo se non erro e anche prodotta da loro, Duello a Berlino è un capolavoro totale della storia del cinema, che la Flamingo Video ci restituisce in tutto il suo integro splendore, nella sua versione integrale originaria di 2 ore e mezza, senza quei tagli orribili che mutilarono la risposta britannica a Quarto Potere. Quindi vi parlo della versione originaria, che presenta una struttura circolare con tanto di flashback iniziale introdotto tramite una carrellata sulla piscina, capace di unire in modo geniale due avvenimenti temporali accaduti a distanza temporale di 40 anni l'uno dall'altro.
Germania e Inghilterra sono sempre più ai ferri corti; in questo clima di guerra latente, due amici per la vita dopo essersi affrontati in duello a Berlino nel 1902, il veterano dell'esercito britannico Clive Candy (Roger Livesey) e l'ufficiale tedesco Theo Kretschmar-Schuldorff (Anton Walbrook), ormai anziani, rievocano la loro straordinaria parabola di stima reciproca che ha segnato un glorioso passato. Due guerre mondiali e l'avvento del nazismo non hanno scalfito un rapporto più grande della vita.
Su Duello a Berlino c'è ben poco da dire perché il film parla già da sé; siamo innanzi ad un’elegia sull'amicizia e dell'ideale del concetto d'amore cristallizzatesi in un ricordo personale e che trascende lo spazio ed il tempo, ma che nonostante tutto, resiste allo scorrere degli anni, delle guerre e delle situazioni che si avvicendano. Un atto coraggioso fare un film del genere, in tempo di seconda guerra mondiale. Non esiste il tedesco, ma esiste un uomo che considera l'amicizia verso l'inglese un qualcosa di “very much” (e qua mi scorrono le lacrime per queste parole potenti), due parole semplicissime ma piazzate nel giusto contesto che racchiudono bene il forte legame di stima reciproca tra questi due uomini. Livesey e Schuldorff (l'attore è l'impresario di Scarpette Rosse… due personaggi all'opposto, da non credersi), sono coadiuvati da una giovanissima, ma già eccezionale Deborah Kerr che fa' ben tre ruoli.
Fotografia stra-ottima, ma ancora non espressa al massimo delle capacità del duo (Cardiff era solo un operatore di macchina in questo film e non era ancora direttore della fotografia); ma che riesce a dare concretezza e credibilità nella messa in scena che fa' uso di scenografie ovunque e non fa' mai scadere il film nella palese finzione, seppur l'anti-naturalismo voluto dai due registi, sia percepibile allo spettatore. Tocchi registici a profusione, a cominciare dal flashback già citato, alla mdp che segue i soldati nel camion durante l'esercitazione (altro che fondali proiettati), il grande movimento di macchina ascendente nella sequenza del duello che staccandosi dal luogo dell'edificio, si abbassa inquadrando Deborah Kerr in macchina che si strugge per la sorte del duello (e noi con lei fremiamo per l'attesa) ed il long take del monologo all'ufficio informazioni da parte di un Theo sconfitto ed affranto dalle avversità della vita. La pellicola è in un equilibrio delicato (ma mantenuto) tra melodramma, fuso con la commedia british con ampia satira antimilitarista, perfettamente adatto a mostrare la nascita e lo sviluppo della più bella storia di amicizia tra due uomini mostrata al cinema (forse solo John Woo ha fatto qualcosa di simile). L'amicizia abbatte nazionalità, odio e differenze reciproche, ma attraversa anche momenti di drammatica crisi derivante da due guerre mondiale che hanno fatto emergere il peggio dagli esseri umani. Il tempo non porta ad un necessario miglioramento anzi! I valori sono custoditi in modo autentico dalle vecchie generazioni, mentre le nuove oramai sono preda dell'egoismo e dell'omologazione contro un “loro”, risultando così adeguate ai tempi moderni. C'è poco altro da spiegare, se non di vederlo e goderne.
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