Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film
Film bislacco e grottesco, che si rifà un pochino e liberamente a “Frankenstein di Mary Shelley”, “La sposa promessa” con Sting e Jennifer Beals, e “Valérie - Diario di una ninfomane”, ma che in realtà, è la trasposizione cinematografica del romanzo omonimo scritto da Alasdair Gray.
Presentato in concorso all'80ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dove si è aggiudicato il Leone d'oro come miglior film e in seguito anche quattro Oscar per migliore scenografia, migliori costumi, miglior trucco e migliore attrice protagonista, a mio avviso è una pellicola sopravvalutata che ricuce idee vecchie e già viste, in modo furbo ed efficace, su uno scenario prettamente erotico.
Il suo pregio effettivo, dunque, è quello di essere un’opera stilisticamente accattivante. Si lasciano apprezzare la maggior parte dei dettagli tecnici e strutturali: l’uso del bianco e nero nelle sequenze introduttive, che richiamano alla mente epoche antiche; un prologo inquietante e misterioso che lascia in sospeso le vicende della trama, ponendo dei punti interrogativi che solo a metà film troveranno risposta; una fotografia nitida; ambientazioni e scenografie suggestive, dense di dettagli gotico-onirici; una colonna sonora adeguata, che sa imprimersi nella mente; personaggi singolari ed eccentrici, che suscitano molta curiosità e delle sfumature fantascientifiche alquanto interessanti.
Il ritmo è discreto, la messa in scena convincente perché riesce a far calare totalmente lo spettatore in una cupa Londra vittoriana, mentre la sceneggiatura, impreziosita da buoni dialoghi, traccia una trama oggettivamente ridondante. Il vero soggetto in questione, difatti, è la scoperta che la protagonista fa sui piaceri della carne, fino al punto da diventarne ossessionata.
Per carità, è uno spunto come un altro – anche se è sin troppo facile attirare l’attenzione delle masse ricorrendo al caro e buon vecchio sesso, con un mix di pornografia – ma dedicargli quasi tre quarti del film mi sembra eccessivo e francamente estenuante. La storia aveva il suo perché e anche altri argomenti che meritavano attenzione e approfondimenti, invece no. II regista punta principalmente sul fattore erotico.
La parte iniziale della pellicola lascia intuire che assisteremo alla lenta evoluzione psicologica di Bella, una creatura “assemblata” in laboratorio dallo scienziato Godwin Baxter. Lui, infatti, ha la “geniale” idea di salvare il cadavere di una donna che si è suicidata, impiantandole il cervello del feto che portava in grembo (impresa anatomicamente impossibile date le dimensioni molto ridotte dell’organo, ma vabbè sempre di fantascienza si tratta). La rianima con successo con delle scosse elettriche, ma il risultato è veramente grottesco. Bella non sa fare niente all'inizio, neppure parlare, e non ha consapevolezza di ciò che la circonda, però ha la capacità di imparare tutto rapidamente. Con il tempo, la sua curiosità tipica di una bambina testarda la spingerà lontano. Passerà dall’ipersessualità alla prostituzione, finché, sfogata tutta la sua libidine, maturerà un interesse per il socialismo e per la medicina.
Resterà forse per sempre uno spirito libero, in lotta contro la società maschilista per poter conservare la propria indipendenza in un contesto storico alquanto puritano e di forte rigore morale.
Inizia a prostituirsi e vuol darci a bere di stare diventando per questo una donna emancipata.
Un po' di serietà, su. Un po' di vera dignità!
Una come Bella non potrebbe mai rappresentare il concetto di emancipazione. Semmai simboleggerebbe soltanto quello di una disadattata che cerca di mantenere in ogni circostanza la propria libertà, anche a costo di dover ricorrere ai mezzi più squallidi.
Idealizzarla come simbolo di emancipazione sarebbe deplorevole per le donne.
Le scene di sesso e simil pornografia si sprecano. Emma Stone, nei panni della protagonista, si concede generosamente davanti alla telecamera con nudi integrali e un discreto repertorio da kamasutra. Il suo personaggio però non trasmette niente a parte un’involontaria comicità. È una donna sempre sincera e genuina, con una costante sete di nuove esperienze, ma è fredda, incapace di provare sentimenti o emozioni (a parte un solo momento in cui prova pietà per gente povera e miserabile) e di affezionarsi realmente a qualcuno. Sopravvive solo di istinti e di impulsi irrefrenabili (senza curarsi del decoro o del pudore), sembrando avere un cervello preistorico piuttosto che quello di un bambino.
Gira il mondo con l’avvocato Duncan Wedderburn, che diventa il suo primo amante. E buona parte della storia gira intorno al loro rapporto. Lui, playboy incallito, diventa un personaggio tragicomico quando capitola innamorandosi di lei. Ne passa così tante per colpa sua, che quasi impazzisce.
Si lasciano ricordare la scena in cui Duncan si infuria perché Bella ha regalato ingenuamente tutto il suo denaro e quella in cui scopre che lei si prostituisce per portare a entrambi qualcosa da mangiare, quando finiscono per strada.
E mentre Bella continua a “conoscere” gli uomini in tutti i modi possibili – ma attenzione, i siparietti erotici in questo caso si rivelano più che altro comici e divertenti, perciò tanto di cappello – il dott. Godwin si dedica a generare in laboratorio una nuova creatura da crescere e istruire alla vita umana. Eh sì, povere creature davvero, nelle mani di un folle che ama sperimentare ciò che in natura dovrebbe essere proibito – da non trascurare tutti gli orrendi ibridi di animali che aveva già creato.
La narrazione del film viene resa seducente da un genuino tocco di autoironia e la combinazione dei diversi generi – fantascienza, horror vecchio stampo e commedia – funziona e intrattiene, ma rimane la pochezza della trama, che giostra male le sue tematiche. Con qualche scena di sesso in meno e maggiori approfondimenti sugli altri aspetti dell’evoluzione di Bella, forse il risultato sarebbe stato più bilanciato, abbracciando i consensi del pubblico nella loro totalità.
Avvincente e al contempo angosciante l’ultima parte in cui viene rivelato il motivo del suicidio di Bella, in cui ora vive il cervello del figlio che aspettava dall'insopportabile marito, un essere meschino e oppressore, che subisce la sorte che merita. Indimenticabile e inquietante l’inquadratura che lo mostra a carponi sul prato, intento a belare e a mangiare foglie ed erba, con una mastodontica cucitura cranica.
Buono il cast, gli interpreti riescono a calarsi bene nei loro rispettivi ruoli. Dal basico Willem Dafoe nei panni dello scienziato sconsiderato, che azzarda troppo, al versatile Mark Ruffalo, nella parte del donnaiolo seriale. Il suo personaggio è il più divertente secondo me e mi ha suscitato molta simpatia, ma anche pena alla fine.
Certamente molto brava Emma Stone nell’interpretare Bella, creatura dal volto quasi sempre ingessato e dalla psicologia infantile e contorta, ma meritava davvero l’Oscar come migliore attrice? Bah.
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