Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film
Se in un lontano lontano futuro un alieno recuperasse una sua copia malandata priva di titoli, lo classificherebbe come un film di Tim Burton.
Tra le fonti di ispirazione letterarie e cinematografiche che ho notato durante la visione ci sono oltre a Frankenstein di Mary Shalley, Pigmalione di G. B. Shaw, La moglie di Frankenstein, la storia di Buddha, le avventure di Alice nel paese delle meraviglie. Soprattutto, ritengo che il film abbia un enorme debito morale nei confronti dello stile e della visionarietà di Tim Burton, col suo campionario di scienziati pazzi, freaks e antieroi; da Mercoledì alla sposa cadavere, passando per La fabbrica del cioccolato, dove troviamo la figura di un padre padrone odontoiatra torturatore del figlio; senza dimenticare Edward mani di forbice, che va alla scoperta del mondo e torna alla casa del padre come il figliol prodigo.
Ragioni sufficienti per mettere in dubbio che questo sia un riconoscibile film di Lanthimos. Il percorso da Dogtooth a quest’ultima opera, è il viaggio dalla provincia greca al centro dell’impero dello show business. Hitchcock era entusiasta del passaggio dalle ristrette possibilità tecnologiche del cinema britannico ai grandi mezzi di produzione offerti da Hollywood, allora soprannominata la “mecca del cinema” non a sproposito, in quanto gli permettevano di superare certi limiti espressivi e di giocare più efficacemente con le sottili emozioni del pubblico; quello che era il suo vero e primario obiettivo. Kubrick, qualche decennio più tardi, invece, fece il percorso inverso, felice di sottrarsi alla morsa dell’industria made in USA, che gli impediva di esplorare in pieno il cuore di tenebra dell’America e delle democrazie occidentali. Dogtooth è un film che mette in scena l’umanità nella sua disturbante essenza; l’uncunny è meno scoperto, più sottocutaneo, psicologico, insomma, inadatto a tutti i tipi di spettatori. Mentre con Poor things, per ovvie ragioni finanziarie, allo scopo di estendere il raggio di attrazione, il regista è dovuto scendere a compromessi. È lo stesso discorso che vale per Barbie, di cui Bella è la versione in nero, nel cui target hanno incluso anche il pubblico minorenne, approfittando del fatto che la bambola sia asessuata. Insomma, vietato parlare di sesso ai bambini; ciò vuol dire che anche per gli adulti resta un argomento tabù, osceno, da tenere nascosto.
Poor things intende essere un’operetta filosofica e satirica, tipo Candide, ma solo per palati grezzi. Lo stile e l’impianto visuale rispetto ai primi lavori del regista, sono diametralmente opposti. Di costante, semmai, c’è il tema dell’autolesionismo, del sadomasochismo, delle mortificazioni corporali per compensare la repressione psicologica. È tutto troppo detto, didascalico per essere puramente cinematografico. Purtroppo, il grande pubblico predilige la parola all’esperienza audiovisiva e vuole essere condotto dall’alto: cioè vuole che gli si dica come deve pensare e comportarsi avendo la sicurezza dell’approvazione popolare. Se il film ha successo, sono anch’io libero di uscire dal recinto. In realtà, è la recinzione a spostarsi un po’ più in là. La protagonista sta continuamente a giustificare verbalmente le sue scelte; il fine drammaturgico è di prevenire e contrastare teoreticamente le critiche e le obiezioni, da parte dei moralisti cristiani ancora dominanti nella società nordamericana e armati fino ai denti, non solo in senso metaforico. Il registro comico contribuisce a smorzare l’imbarazzo dato da inibizioni. Ci sono Stati nel nord America che hanno ripristinato il divieto di aborto e che respingono con vigore la divulgazione di Darwin.
In che modo ci dobbiamo relazionare alla sua visione? Da un punto di vista filosofico, o come prodotto puramente artistico? A mio giudizio, dal primo punto di vista è un’opera semplicistica; mentre dal lato estetico, non rappresenta niente di nuovo, di inesplorato. Intanto, diciamo subito che di surrealista ha niente, al contrario di quanto sostiene qualcuno che evidentemente non conosce affatto, o non ha presente, le opere dei suoi padri fondatori, Dalì e Buñuel. Pensare che in un film surrealista il significato di ogni immagine, o azione scenica fuori dal reale, sia esplicato a livello diegetico, affinché non risulti astruso per il popolo del nuovo mondo e per le nuove generazioni, fa ridere. Il desiderio erotico, tema centrale del surrealismo, come effetto della rivoluzione freudiana, non viene mai spiegato, ma sublimato per analogia concettuale, culturale e psicologica attraverso immagini o allegorie simboliche. Il surrealismo è per definizione antiborghese, antiaccademico e problematico sul cristianesimo e lascia totalmente libero lo spettatore di formarsi la sua personale idea su ciò cui assiste, come riguardo ai sogni. Per capire meglio cosa intendo dire, potrebbe essere utile paragonare questo film con quelli di Buñuel, per esempio, Viridiana, Tristana o Bella di giorno. Forse, così, le persone si renderebbero meglio conto dell’immaginario popolare sotteso. Ad Hollywood si sforzano di produrre qualcosa di pregevole in campo artistico, ma invano, perché si preoccupano, più che altro per motivi commerciali, di contenere il più possibile la visione entro i limiti della morale pubblica e in base ad obiettivi produttivi desunti dal successo al botteghino, di seguito ridotti a schemi e formule replicabili. Siamo in una società di imitatori e perciò tutto sta andando sempre più in basso. Il cinema richiede tanti soldi, ma se devi snaturare la tua visione come puoi pretendere di restare autentico e, perciò, fedele a te stesso, felice? Meglio fare film con pochi soldi in cui non sei costretto a svendere la sostanza della tua arte. Per invertire la tendenza, dovremmo evitare di considerare che il cinema a basso budget, cosiddetto indipendente, valga meno (o di più, per una nicchia di critici duri e puri) dei film in confezione di lusso. In relazione ai film di Lanthimos, come di altri cineasti, si dovrebbe dubitare che col raggiungimento dei vertici industriali, attesti un salto di qualità. Riesco a comprendere solo quel naturale spirito di sperimentazione e di sfida con se stessi.
Per completare il mio discorso sull’immaginario del nord America e dunque, su ciò che fa presa su quel tipo pubblico medio, elenco in breve alcuni aspetti ed atteggiamenti tipici: sfasciare le cose ed urlare per protesta; affogare i dispiaceri nell’alcol; fare a botte per una donna come un adolescente in calore; le risse nei locali pubblici; l’iconoclastia della vecchia europea col suo polveroso senso del decoro; la volgarità esibita con aria di sfida da cowboy; bere la birra dalla bottiglia o dalla lattina; l’esuberanza sessuale ma più accennata e censurata, che realmente mostrata (vedi masturbazione di Bella); il didascalismo; la verbosità; il sentimentalismo (filantropia idealistica). Contemporaneamente fa parte del modo convenzionale di pensare il fatto di ridurre gli altri popoli, a semplici stereotipi. Vai a Lisbona e assisti per strada al temperamento litigioso proprio dei popoli meridionali o latini; vai in Africa e ci sono i morti-di-fame; vai a Parigi e frequenti i bordelli di Montmartre.
Il piacere non corrisponde al bello. Invece, noi abbiamo assorbito la cattiva abitudine di far coincidere il piacere dei sensi superficiali con la bellezza che, in verità, trascende la realtà immediatamente sensibile; è un’essenza immateriale, pura, sacra, irrappresentabile. “Mi piace, è bello; non mi piace, è brutto”: è il grado zero, più superficiale della coscienza (congelata nel tempo). Il giudizio o senso della bellezza è sopravvalutato, abusato, manipolato, condizionato, inflazionato. Per la mentalità consumistica, ormai penetrata a fondo nella nostra psiche, anche la bellezza si compra al mercato, ossia il valore di qualunque cosa equivale alla sua stima economica e si misura coi suoi ricavi. Nel caso presente i soldi spesi si vedono eccome, ma io continuo a preferire Dogtooth, per autenticità, e ne consiglio vivamente la visione. Poor things rappresenta la corruzione dell’artista che dimostra di non avere un occhio sulle cose, originale e ben orientato. Mi chiedo se il fascino verso Yorgos Lanthimos non abbia a che fare col suono vagamente arcano del suo nome.
Poco prima di apprendere che il film è in programmazione sulla piattaforma di Disney plus, stavo proprio pensando che l’aspetto scenografico ha un impasto topolinesco, cartoonesco, ovvero, da pop-art postmoderna. Il cerchio si chiude. Ciò che trovo degno di considerazione, più di ogni altra cosa, è la longevità dell’estetica straniante derivata dall’espressionismo tedesco, proprio per la sua adattabilità ai percorsi psicanalitici.
In merito al discorso filosofico dubito che si possa etichettare questo film come femminista, quanto meno dalla parte delle donne, essendo l’ennesimo racconto che rappresenta le donne riducendole alla dimensione sessuale, da cui viene fatto dipendere il loro sviluppo psicologico. Il sesso è una materia che attiene al genere femminile. Come se non fosse la stessa cosa per tutti. Siamo sempre all’interno della prospettiva maschile. I maschi vorrebbero che le donne fossero più disinibite. Bella non si riBella fino in fondo alle convenzioni sociali, ma è disposta ad assecondare le volontà del padre putativo e del promesso sposo, cioè a stare con due piedi in una scarpa: andare all’avventura restando fedele al modello di base; la soluzione più intelligente. Che, all’interno della fiaba, Bella sia più intelligente dei maschi e, soprattutto, di quelli più violenti, essendo la violenza segno di stupidità (confermo!), lo si capisce in più di un episodio. Tuttavia, per avere validità scientifica ogni ipotesi va sperimentata coi fatti. Per parte mia, non posso che confermare di aver riscontrato alcune somiglianze tra le mie esperienze e quella della protagonista, pur essendo di genere maschile, ma di orientamento omosessuale. Comunque sia, anche la sessualità dei maschi è travagliata e messa fuori dalla porta. Purtroppo, non è finita allo stesso modo, non essendo di buona famiglia. Quando ho manifestato onestamente alla persona con cui convivevo, la mia esigenza di ampliare le mie conoscenze bibliche, mi è stato opposto un muro, eppure si trattava di una persona altamente istruita, laurea in filosofia e musicista di professione. Di fronte all’indipendenza psicologica e alla determinazione del partner, le persone crollano meschinamente, proprio come l’avvocato cascamorto Duncan. Disgraziatamente, tutti vogliono possederti e sistemarti nei loro piani di vita. Le persone mentalmente indipendenti sono giudicate asociali e orgogliose, per cui sono oggetto di forte diffidenza e discriminazione, in ogni luogo. Ma volendo essere ancora più puntigliosi, bisogna tener conto che la psiche delle persone comincia a formarsi già nella vita intrauterina, assorbendo per osmosi l’energia psichica della madre. Essere figlia di una madre depressa e suicida e di un padre biologico violento, cui si aggiunge un padre adottivo connotato da turbe mentali, dovute anche a malformazioni fisiche, ha i suoi effetti niente affatto piacevoli. Insomma, la realtà non si può ridurre a pochi tratti schematici.
Un’altra concessione al pensiero conformista è il fatto che, nonostante l’emancipazione culturale, l’orientamento scientifico e la totale spregiudicatezza sessuale; nonostante ogni riferimento alla religione sia allusivo e sarcastico, Bella accetta di sposarsi in chiesa davanti ad una croce incombente ed in abito virginale. Faccio presente che negli USA ateismo è sinonimo di comunismo che è sinonimo di possessione demoniaca. L’unica cosa veramente anticonformista, più del sesso, rispetto alla mentalità a stellestrisce è la promozione del socialismo semplicisticamente definito come la volontà di migliorare l’individuo e la società, ciò che è comunemente definito progresso. Tuttavia, Bella ne parla più come una credenza religiosa, un’ideologia, qualcosa che non la convince pienamente. È bene ricordare che l’Occidente è diviso in due fazioni, concepite come modalità d’essere nettamente distaccate ed inconciliabili, due forme di vita antropologicamente opposte (stupidità sbeffeggiata da Giorgio Gaber): destra e sinistra, conservatori e progressisti, repubblicani e democratici. In sostanza è solo una tecnica del potere, una forma di controllo del popolo: Divide et impera, per non cambiare affatto; il gioco del “tira e molla”, per intenderci. Chi vincerà gli Oscars, il repubblicano Oppenheimer, che rappresenta gli USA come un Pilato che se ne lava le mani, o il democratico Poor things col suo moderato spirito progressista? E se tra i due litiganti il terzo gode, quale può essere la via di mezzo che non scontenti nessuno?
Ad ogni modo, se uno mette da parte tutte queste osservazioni, senza prendere troppo sul serio questo prodotto dell’intrattenimento, può anche divertirsi, soprattutto, con gli sketch delle scaramucce tra Bella e il personaggio interpretato da Mark Ruffalo sempre in parte, ma sempre in posizione defilata, privo di manie di protagonismo. “La troia è tornata.” L’interpretazione di Emma Stone non mi ha fatto andare in visibilio; non ci risparmia gigionismi ed è spesso in posa plastica, aiutata da artifici fotografici e costumi elaboratissimi. Se può servire da consolazione, è bene sapere che non c’è cosa al mondo di cui non si possa parlare male.
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