Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film
Un apologo femminista brillante e quasi brechtiano in cui, finalmente, il mondo è mostrato dallo sguardo di una donna-soggetto e non più oggetto. Un elogio del potere deflagrante del desiderio femminile in grado di squassare ogni tabù sulla femminilità. Con qualche furbesca strizzatina d'occhio al femminismo più radicale ed estremista.
Avevo pensato ad una recensione diversa da questa, senonché un inquietante interrogativo si è fatto prepotentemente strada qualche giorno dopo la visione del film: e se, nella sostanza, più che al romanzo di Gray (che non ho letto ma che, a quanto pare, tradisce abbondantemente) il film strizzasse l'occhio alle teorie più becere ed estremiste del femminismo contemporaneo? Se più che Alasdair Gray la fonte di ispirazione di Lanthimos ed Emma Stone fosse Pauline Harmange? Se il film, in fondo, non fosse altro che questo? Sarebbe un gran peccato, dato che avevo trovato decisamente interessante l'idea di base del film: avere una protagonista femminile che fosse finalmente soggetto, e non oggetto, della storia e della visione del regista (che resta comunque un uomo); mostrare il mondo dal punto di vista di una donna e, in tal modo, mettere in crisi tutto il sistema di valori di una società (ormai ne siamo tutti sempre più convinti, pare) che è fatta da uomini per uomini.
L'analogia "Cinema-Bella" sembra evidente fin dall'inizio: l'evoluzione stilistica del film sembra seguire le varie fasi dello sviluppo del linguaggio cinematografico.
Le prime scene sono in bianco e nero, un bianco e nero che sembra rispecchiare la tristezza di Bella, costretta a trascorrere i suoi primi anni di vita nel laboratorio-carcere; ma è anche un bianco e nero sgranato e volutamente "rovinato", come ci appare oggi quello delle pellicole degli esordi.Quando Bella esce dallo studio del "padre" Godwin i colori sgargianti sembrano restituirci la meraviglia dello sguardo di Bella di fronte ad un mondo visto per la prima volta ma, al tempo stesso, quella degli spettatori degli anni '20 di fronte ai colori innaturali e accesi del Technicolor. Per non parlare ovviamente del grandangolo esasperato che inquadra quasi tutta la prima parte del film, e che traduce ancora una volta la visione di Bella: quella di una bambina-dea convinta che il mondo le ruoti attorno.
Insomma: lo "sguardo" del cinema e lo sguardo di Bella coincidono, il cinema rinasce con la (ri)nascita di una nuova creatura: la donna.
Ma non è solo lo sguardo della donna ad interessarci: è anche, e forse ancor di più, il desiderio (che poi son la stessa cosa).
Il desiderio femminile sembra essere l'unico motore propulsivo di tutte le avventure e sventure di Bella, sorta di macchina desiderante deleuze-guattariana, mero assemblaggio di pezzi che produce flussi di desiderio senza identità, senza un fine, senza territorio. Ed è esattamente questo a rendere Bella così pericolosa: il desiderio femminile è sempre stato uno dei tabù più temuti dall'uomo, e lei non fa altro che infrangere quel tabù in continuazione.
In questo senso, l'episodio forse più interessante della vicenda è quello del bordello parigino: Bella si limita a seguire la propria sana e naturale tendenza a soddisfare il proprio desiderio e, quando scopre che può addirittura venir pagata per questo, non trova alcuna ragione valida per non tentare l'esperienza: è sufficiente assecondare il proprio desiderio al di la di ogni sovrastruttura sociale e culturale per far sì che, improvvisamente, anche la prostituzione perda quello stigma morale che ancora oggi persiste.
La sua decisione provocherà scalpore nella società moralista, repressiva - e, va da sé, maschilista - che Bella fa esplodere con la sua innocenza totale e demente che però convive con una logica implacabile.
Bella "educa" i suoi clienti a relazionarsi con lei, invitandoli a lavarsi se è il caso, ad occuparsi anche del suo piacere oltre che del loro, in alcuni casi sottomettendoli alle proprie voglie, il tutto con la più totale naturalezza.
E, dall'alto del suo balcone, continua a non comprendere la disapprovazione da parte dell'ormai ex-amante Wedderburn, le sue accuse di abiezione morale e umana, il suo dolore lancinante, in quella che può apparire come una versione parodistica di Romeo e Giulietta o, in generale, dell'amore Romantico: quello di Wedderburn, visto dagli occhi di Bella, sembra più che altro un atteggiamento letterario, le pose di un attore che sta interpretando il ruolo dell'amante affranto: guardandolo dai suoi occhi tutto sembra una finzione, un'incomprensibile rappresentazione teatrale.
È anche vero, però, che la dialettica su cui tutto il film si impernia è, in fondo, quella tra amore-possesso da un lato, e libertà dall'altro: il primo, ovviamente, prerogativa del maschio e della cultura patriarcale (sì, l'ho detto. Avevo cercato per tutto il tempo di evitarlo ma alla fine ho ceduto), la seconda, invece, del femminile. Gli uomini possessivi cercano per tutto il film di ingabbiare e far propria Bella, mentre lei non vuole altro che essere sé stessa. Non concepisce la gelosia, l'idea di appartenere a qualcuno.
Ed è proprio qui che, a mio avviso, non può non sorgere una domanda cruciale: e se Bella si innamorasse?
È possibile che in tal caso ella si accorgerebbe che, tra le tante emozioni di cui nel corso del film va facendo esperienza, vi sia anche quella della gelosia e, dunque, del possesso? Questa possibilità pare non venga presa minimamente in considerazione e, forse, ci si dovrebbe chiedere perché.
Un altro punto che mi è parso piuttosto irrisolto è quello del Socialismo.
Dopo essere rimasta inorridita dalla scoperta della disuguaglianza sociale, Bella abbraccia entusiasticamente l'ideologia socialista, alla quale viene "iniziata" dalla sua collega prostituta di colore (la "sorellanza", evidentemente, non concepisce né razzismo, né possessività, né competitività...).
Ed è qui che compare quella che mi è parsa come un'altra di quelle semplificazioni manichee che tanto piacciono a certe narrazioni femministe contemporanee: donna progressista VS maschio conservatore.
Ma comunque, si diceva: dopo esser rimasta sconvolta dalla visione di alcuni poveri moribondi, Bella arraffa i soldi che Wedderburn aveva vinto alla roulette (essendo del tutto indifferente al valore del denaro, dato che il possesso e il potere sembrano essere prerogative esclusivamente maschili) e tenta ingenuamente di farli recapitare ai malcapitati. In altre parole: Bella è anche buona. Punto.
Che fine fa poi la sua vocazione socialista? Dove finisce la sua fiducia nelle possibilità di automiglioramento dell'essere umano? All'inizio sembra che la risposta risieda nella sua decisione di intraprendere la carriera di medico e di salvare addirittura la vita all'uomo che l'aveva spinta al suicidio nella sua "vita precedente", ma alla fine scopriremo che le competenze scientifiche ereditate dal "padre" Godwin le serviranno per trasformare il crudele patriarca in una capretta obbediente.
Una vendetta sul piano immaginario assolutamente comprensibile e giustificabile: sarebbe anche ora che siano le donne a prendere il potere e che gli uomini assumano quella condizione di schiavetti che, per secoli e secoli, hanno riservato alle prime.
Però resta sempre la domanda: che fine fa la bontà di Bella? A cosa serve la sua adesione ai principi socialisti se non a dirci che Bella è buona, empatica e istintivamente "de sinistra"?
Insomma: siamo sicuri che certe semplificazione ideologiche e apertamente misandriche servano davvero a qualcosa, se non a mandare in tilt il botteghino, a strizzare l'occhio furbescamente ad un certo femminismo inviperito e modaiolo e, quindi, a vincere qualche premietto importante?
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