Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film
Che nel genoma di Lanthimos sia scritto a chiare lettere che si tratta di un lontanissimo (2500 anni più o meno) pronipote dei tragici greci è cosa nota da tempo, almeno da Kynodontas, 2009, quello che sempre guarderò come il suo capolavoro.
Famiglia disfunzionale (e sulla scena del teatro di Dioniso ne passarono proprio tante), padre padrone (idem), trabocchetti linguistici (non ne parliamo neppure!).
Un bel giorno arrivò anche il cervo sacro, e lo dice lui stesso da quale eccelso padre spuntò la bella trovata: Nella mitologia greca il concetto di sacrificio si trova dappertutto, così come nella Bibbia. Abbiamo fatto emergere questioni radicate nella cultura occidentale fin dalle sue origini, lo si può vedere bene nell’Ifigenia di Euripide.
Dunque niente di nuovo sul fronte occidentale, e ora, con Povere creature, siamo a Sofocle passando per il teatro dell’assurdo e Mary Shelley ma finendo a piè pari nel Grand Guignol.
Dispiace dirlo, ma il confronto a ritroso con La favorita, Il sacrificio del cervo sacro Alps e Kynodontas è perdente, povere creature siamo noi spettatori che, per due ore e venti, ce lo sorbiamo in silenzio, non essendo possibile sfondare la tela del cinema e dire basta.
Con tutto il rispetto per chi lo ha apprezzato diciamo no.
Abbiamo fatto emergere questioni radicate nella cultura occidentale fin dalle sue origini.
Infatti, con la differenza che gli scienziati pazzi sono arrivati dopo, almeno dagli alchimisti, Cagliostro e compagnia, e di esperimenti chirurgici nei teatri anatomici ne abbiamo visti che basta e applicarci un tema come quello della liberazione della donna suona falso come una moneta falsa.
Vediamo perché.
Bella è madre figlia di suo figlio. Lo scopriamo a film inoltrato, e in questo nulla di nuovo, ci vorranno due ore prima che i figli e contemporaneamente fratelli e sorelle di Edipo capiscano la stessa cosa e la moglie e madre Giocasta s’impicchi.
Bella no, alla fine della realizzazione di lei come donna, da neonata che era in partenza, pur se con aspetto di donna, si iscriverà a medicina. Dispiace spoilerare così grossolanamente ma, visti i precedenti, bisognava dirlo.
A parte gli scherzi, stavolta Lanthimos ha voluto strafare. Si è ispirato ad un libro, e questo in parte lo giustifica, ma se ne esce davvero stiracchiati, chiedendosi per cosa e perchè abbia vinto il Leone d’oro a Venezia.
Capisco anche il volume di applausi che mi attirerà strali dalle povere creature che passeranno di qua, ma mi espongo volentieri, se qualcuno crede di voler dire qualcosa di nuovo deve farlo sul serio.
Il tema: come ti faccio emancipare una donna.
Se è nuovo questo! Bisognava trapiantarle il cervello del figlio! Bisognava che imparasse quel linguaggio aulico da sapientina che impara! Bisognava che passasse tra le braccia di uomini a non finire perché finalmente capisse che la vera libertà ce l’ha dentro, se ce l’ha, perché tante donne neppure lì.
Antigone, Medea, Elettra, Fedra,Clitennestra non hanno insegnato proprio niente?
A quanto pare no se stiamo ancora a dire “L’utero è mio e lo gestisco io”.
No, qui la liberazione deve ancora passare dagli uomini, buoni, cattivi, pazzi, maleodoranti, poco importa, ma solo da loro.
Bella è una bellissima e odiosa pupattola all’inizio del film, alla fine diventerà una brava studentessa dopo un gran scoppiettare di fuochi d’artificio, anamorfosi e metamorfosi, timpani perforati da martellamento continuo, giro d’Europa in 80 giorni e stralunati scenari che Murnau e Pabst non hanno inventato niente.
Basta così, chiedo venia agli estimatori ma sarò sempre convinta che l’intelligenza è utile per la sopravvivenza se ci permette di estinguere una cattiva idea prima che la cattiva idea estingua noi.
(Bruno Snell, La formazione dei concetti scientifici (in La cultura greca e le origini del pensiero europeo, Einaudi, 1963, trad. Degli Alberti-Solmi Marietti, p. 323)
www.paoladigiuseppe.it
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