Regia di Ari Aster vedi scheda film
Beau ha paura. Di ogni cosa. Continuamente.
È chiaro fin da subito, fin dal titolo, che Ari Aster ha intenzione di parlarci di questo, non era chiaro e nemmeno pensabile che davvero per tutti i centosettantanove minuti di durata della pellicola, il regista finisse per parlarci davvero e solo di questo.
Badate bene, non faccio questo appunto per “rimproverare” il regista o lo sceneggiatore, che in questo caso coincidono, ma piuttosto per gettare le basi utili ad imbastire un elogio, o quantomeno per dare uno spunto di riflessione in merito a ciò che Aster è capace di produrre dalla sua mente ingegnosa.
Si vede che gli piace navigare e raccontare della mente umana. Di mettere sullo schermo tutto quello che scaturisce dai pensieri più profondi. Lo ha fatto con la paura, nel suo primo film, con la tensione e l’angoscia nel suo secondo e adesso lo fa con la paranoia. Non ricordo altro film (ma senz’altro sarà una mia mancanza) nessun altro film capace di raccontare la psicosi umana in modo così concreto e verosimile.
Certo, il merito è senza dubbio anche e comunque del suo straordinario protagonista, Joaquin Phoenix che riesce a trasmettere tutta l’angoscia che vibra nell’essere di Beau fin dalle prime immagini e trascina il suo malessere fino alle battute finali, quelle in cui assistiamo, inermi, ad un uomo che soccombe alla potenza incontrastabile del potere mentale umano.
La sceneggiatura si sviluppa totalmente ed esclusivamente attraverso la rappresentazione delle paure del protagonista, e le conseguenze che ne dalle sue azioni scaturiscono. Attraverso il racconto della sua vita, e dei suoi affetti, dal rapporto con la madre, alla morte prematura e improvvisa del padre, passando per le persone che l’uomo incontra dall’infanzia fino all’età matura; Ari Aster tesse una ragnatela di situazioni che, anche a causa anche della corposa durata della pellicola, diventa, ad un certo punto, asfissiante.
Questo accade perché, alcune situazioni, vengono ripetute, non tanto per rimarcarne il concetto, quanto piuttosto proprio per creare i presupposti opportuni a creare in coloro che guardano lo stesso malessere che anima il protagonista. Insomma, una pellicola che mi è piaciuta a tratti, di cui ho mal sopportato la lunga durata ma di cui ho adorato per messa in scena e interpretazione. Senza dubbio l’ennesimo esperimento cinematografico che poteva avvenire solo per mano di Ari Aster.
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