Regia di Ari Aster vedi scheda film
Beau Wasserman è un uomo di mezza età, la cui vita è stata segnata da un rapporto conflittuale con la madre Mona, cosa di cui discute d'abitudine con il suo psicoterapeuta. Non ha mai conosciuto il padre, avendo appreso da Mona che l'uomo è morto in occasione del suo concepimento, a causa di una debolezza cardiaca, così come sarebbe accaduto al nonno. Nel momento in cui si apre la narrazione, Beau, il quale rifiuta l'orgasmo per non correre gli stessi rischi dei progenitori, vive in un appartamento all'interno di un palazzo malconcio, in un quartiere preda della delinquenza. Avvicinandosi l'anniversario della morte del padre, Beau si organizza per raggiungere Mona in aereo, ma, poco prima di partire, gli sono rubati bagaglio e chiavi. Per Beau è solo il primo di una serie di guai sempre più imprevedibili e pericolosi. Il regista statunitense Ari Aster è alla sua terza opera, la cui classificazione non è semplice. Una commedia nera, nerissima, dalle tonalità grottesche, ci racconta la storia del cinquantenne Beau, un personaggio timoroso di ogni cosa, poco propenso all'azzardo. L'intera vicenda è ricca di elementi surreali, incongruenze volute, dettagli ad alto contenuto simbolico. La mia idea è che l'autore abbia voluto raccontare un lunghissimo sogno del protagonista. Analizzandone il contenuto, è possibile comprendere la personalità di Beau. L'assenza del padre, della cui morte egli potrebbe non essere intimamente convinto, dal momento che fa una breve comparsa, tra i molti personaggi del racconto; una madre estremamente possessiva, la cui lunaticità è forse generata dall'assenza, al suo fianco, di un uomo insieme al quale crescere il bambino; questi i fattori che hanno determinato il successivo sviluppo del soggetto. Egli ha rielaborato nel suo inconscio le esperienze fatte successivamente; la dolce eppur già disillusa adolescente Elaine, conosciuta durante una vacanza, torna a fargli visita; elementi della sua quotidianità, del suo contesto sociale, quali un vicino molesto, la stupida avidità di un commerciante, degrado e violenza dilaganti per le strade, il perbenismo malato incapace di contenere la follìa dilagante nell'animo delle persone, la tensione ad una vita più semplice, a contatto con la natura. Tutto ciò è l'esperienza onirica di Beau, il quale, sebbene i fatti narrati ce lo presentino come vittima, conclude il suo "viaggio" con una condanna. Una sorta di tribunale nel quale non è ammesso il contraddittorio, una corte istituita dal suo stesso subconscio, lo giudica colpevole. E meritevole di morte. E' un epilogo in linea con quanto lo stesso subconscio propone. La mamma, creduta morta, torna in scena più volte. E' una donna disturata ed egoista, ma Beau non ha modo di opporsi ad essa, se non con un'istintiva violenza che lo rende ancor più disperato. Presumo che ciò rifletta i sensi di colpa di un bambino che si senta non accettato, e quindi un peso per gli altri. Corroborano l'idea del sogno l'incerta collocazione spaziale e temporale - la sceneggiatura fa riferimento ad eventi fittizi - e i repentini cambi di ambientazione. Droghe e psicofarmaci sono elementi costanti nel racconto; infine, è interessante come sia stato tratteggiato lo psicoterapeuta; personaggio infido, rompe il vincolo del segreto professionale facendo in modo che Mona ascoltasse quanto detto durante le sedute del figlio. Il personaggio di Beau, in una sua realtà, potrebbe avere legami con questi elementi. Il protagonista è interpretato da Joaquin Phoenix, il quale assume un aspetto appesantito, trasandato; espressioni timorose, esitanti. Sembra incapace di farsi comprendere, e men che meno di imporsi. Il ritmo del racconto è molto lento; non mancano, tuttavia, momenti di azione e la tensione è costante. Ipotizzando che il regista racconti di un'esperienza onirica, lo spettatore non può immaginare cosa inventerà il subconscio del protagonista. "Beau Ha Paura" non è un film di facile comprensione; lo spettatore si trova sin da subito spaesato. Si ha inizialmente l'impressione di trovarsi in un immediato futuro, o in un presente alternativo, e ci si chiede per quale motivo il bonario e pavido protagonista incappi in tante bizzarre disavventure; immagino che le interpretazioni possano essere le più varie, dal momento che difficilmente una tra esse può trovare conferma. Io ho scelto l'ipotesi del sogno; essa darebbe un senso ai tanti ... non sensi; contemporaneamente, ritengo, è una scelta piuttosto furba effettuata dal regista, il quale è libero di far correre la fantasia a briglia sciolta, nel guidare l'inconscio di un personaggio della cui vita, di fatto, non sappiamo nulla ! Pertanto non possiamo far valutazioni su come la realtà del protagonista abbia influenzato le dinamiche oniriche. Ciò, unito ad un certo "manierismo" nelle scelte di regìa, non mi ha consentito da apprezzare pienamente il lavoro di Ari Aster. Tre ore di film segnate da un andamento flemmatico; dialoghi dilatati quasi ad arte; la costante incertezza circa gli accadimenti e le loro premesse; una nebulosità che non è dissipata neppure in epilogo. Una visione interessante, non certo agevole.
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