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Beau ha paura

Regia di Ari Aster vedi scheda film

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La recensione su Beau ha paura

di diomede917
7 stelle

CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: BEAU HA PAURA.

Le mamme nel cinema hanno sempre avuto un ruolo determinante nella psiche e nella degenerazione dei propri figli trasformandoli in una sorta di indifesi mostri capaci a tutto pur di proteggere la propria genitrice negando fino all’ultimo la sua follia.

Abbiamo avuto la mamma migliore amica di un ragazzo in “Psycho” che diventa un tutt’uno con l’amato figlio Norman.

La Mamma iper-religiosa che ha fatto vivere la propria figlia “Carrie” nei sensi di colpa fino a farla esplodere con una violenza ipercinetica.

E anche noi italiani abbiamo avuto una mamma che in Profondo Rosso uccide il padre del piccolo Carlo a Natale provocandogli un trauma difficile da rimuovere.

Provate a pensare se qualcuno facesse un film sul “Processo” emotivo che si innesca sul povero Norman Bates o sul Carlo raccontato da Dario Argento ambientandolo dentro il suo cervello, tre ore di un trip che Freud scansate proprio e che ripercorre tutte le fasi della nostra esistenza (NASCITA-VITA-MORTE) lasciandoci attoniti nel silenzio quasi irreale dei titoli di coda dopo un viaggio di stile quasi Dantesco che vede coinvolto il nostro protagonista.

Già nei suoi due precedenti film aveva raccontato la distruzione tragica della famiglia ad opera delle donne celandolo in una sorta di rituale Horror anni ’70, sia esso rappresentato da una setta o da una comunità bucolica della Svezia, ma questa volta Ari Aster invece di marciare facile col suo pubblico e con la critica che lo ha osannato a nuovo guru della paura decide di sfidarli ad una prova di forza visiva e intellettiva che può essere paragonata alla “Cura Ludovico”. Te ne stai tre ore a guardare la sofferenza del povero Beau a cercare di capire perché ha paura, anche perché di chi è evidentissimo.

L’unica vera furbata che il regista ci propone è quella di affidare a Joaquin Phoenix la rappresentazione del dolore di Beau ossia un attore che ha vinto l’Oscar grazie al delirio di un comico vessato e manipolato dalle violenze della madre.

Solo che Beau è l’anti Joker.

Il suo fisico è bolso dalla pigrizia e dalla dipendenza dagli psicofarmaci.

La mamma di Beau controlla la vita del figlio fin dal momento in cui è nata, la sua isteria perché ancora non piange apre il film e la sua presenza è ingombrante anche quando è assente.

È una mamma che lo chiama anche quando è dall’analista a parlare del desiderio di vederla morta.

Mamma Mona è l’amministratore delegato di un’azienda che controlla il mondo, soprattutto quello del povero Beau.

L’azienda della Mamma produce gli psicofarmaci che lo aiutano ad andare avanti, l’azienda della Mamma produce il cibo spazzatura da microonde con cui si sfama, l’azienda della Mamma ha creato il quartiere violentissimo dove lui vive rinchiuso nel suo bilocale.

È vero non è vero? È una proiezione del suo trauma?

La notizia inaspettata della morte dell’ossessiva signora causata da un incidente domestico gli dà la forza di uscire ed incamminarsi verso un lungo viaggio verso il funerale.

Nel suo percorso verso la resa dei conti finale si imbatterà in senzatetto violenti simili a zombie, nel prototipo della perfetta famiglia americana che in realtà nasconde un’indole oppressiva e violenta causata dalla morte del figlio in missione a Caracas, nella compagnia teatrale “Gli Orfani del Bosco” che rappresenteranno la sua vita se non ci fossero state le paure imposte dalla madre, perderà la verginità con l’amore adolescenziale proprio sul letto della madre fino ad arrivare ad un processo pubblico giudicato dal Tribunale dei sensi di colpa.

Quella di Ari Aster è un’ambiziosa bulimia cinematografica, la sensazione che abbiamo durante la visione del film è che il cervello del regista è decisamente più incasinato di quello del povero Beau.

Eppure, c’è qualcosa che ci spinge a rimanere a guardare quel delirio anziché alzarsi e mandarlo a quel paese dopo mezzora.

Perché in quelle torture mentali della Mamma di Beau, sotto sotto ci ritroviamo.

Guardare Beau ha paura è un po’ come fare i conti con le nostre paure.

Paure dei ragni violino, paure di un pazzo violento che ci insegue da per tutto, paura del sesso perché il mio concepimento ha causato la morte di mio papà ed è un qualcosa di ereditario che può capitare anche a te, paura del patriarcato rappresentato da un mostruoso pene gigante dotato di testicoli enormi, ma anche paura di un Matriarcato che si diverte a umiliarti e dirti che ti odia.

Troppa roba tutta insieme e come in un matrimonio pugliese il rischio dell’indigestione è tantissima.

Eppure, alla fine del film, nel silenzio quasi fastidioso che c’è in sala guardo quella barca rovesciata com’è rovesciata la mia testa dopo la visione di Beau ha paura mi dico:

“Eh sì, è giusto che sia finito così”.

VOTO 7

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