Regia di Ari Aster vedi scheda film
Visioni (autoritarie) ed esperienze (allucinogene). Ogni artista ambisce a potersi esprimere liberamente, non dovendo sottostare ai vincoli imposti dai committenti, per quindi sfogare le sue idee, rappresentandole integralmente, senza ripiegare sui soliti compromessi di sorta. Una situazione che sposta completamente la bussola della responsabilità sull’autore, ideale per attribuirgli un peso specifico, per cercare di capirne/carpirne l’effettivo potenziale.
Una licenza di questa tipologia capita raramente, tanto più oggigiorno, quando il tornaconto economico è un dogma invalicabile e le concessioni si contano sulle dita di una mano (monca).
Questo colpo di fortuna ha baciato in fronte Ari Aster, regista newyorchese del 1986 che, dopo i riscontri positivi raccolti con Hereditary - Le radici del male e Midsommar – Il villaggio dei dannati, recupera un soggetto impostato in precedenza e può spingersi in lidi inosabili, beneficiando del contributo di una star assoluta e indicata per reggere sulle spalle un ruolo impervio e sfaccettato, tracimando in un minutaggio che – senza alcun ritegno né senso della misura - sfiora le tre ore effettive.
Come ogni anno, in corrispondenza del giorno in cui morì suo padre, Beau Wessermann (Joaquin Phoenix - Lei, Quando l’amore brucia l’anima), un uomo sommerso da insicurezze che non gli concedono tregua, si appresta a recarsi da sua madre Mona (Patti LuPone – A spasso con Daisy, Colpevole d’omicidio).
Da questo momento, gli va tutto storto, fino a venir investito per strada da una coppia di sconosciuti (Amy Ryan – Gone baby gone, Beautiful boy, Nathan Lane – Piume di struzzo, Un topolino sotto sfratto) che decide di curarlo/accudirlo.
Tra un numero imprecisato di peripezie, Beau arriverà – nonostante le notizie ricevute che la danno per morta - a confrontarsi con Mona, ma anche con Elaine (Parker Posey – La casa del sì, Lost in space), un amore di gioventù mai consumato.
Distribuito in Italia da I Wonder Pictures, che nel corso della stagione cinematografica 2022/2023 ha già dimostrato di avere un gran fiuto (tra i suoi acquisti figurano Everything everywhere all at once e The whale), Beau ha paura è un film abitato da suggestioni e ossessioni, destinato a dividere gli spettatori, non tanto quelli occasionali, che ne usciranno – con ogni probabilità e nella stragrande maggioranza dei casi - in tilt, quanto i cinefili, che potranno amarlo o trovarlo – tra le varie ipotesi – pretestuoso, contorto e/o ingiustificatamente eccedente.
Trattasi di una traversata smisurata e tortuosa che, partendo dalla base di un rapporto limaccioso tra madre e figlio, che ha stravolto/annientato il processo formativo di quest’ultimo, frantuma il vaso (Beau) in mille pezzi e naviga al largo da qualsiasi forma di lido rassicurante.
Dunque, si addentra nei meandri di uno stato psicologico e fisico, una materia magmatica che affronta oscillando tra sogni e ricordi, disfunzioni e germi, creando uno straniamento cognitivo, tra incubi assortiti e nodi irrisolti, moti interiori ed esteriori, descrivendo una parabola radicale e ansiogena che spazia tra la degenerazione urbana e le follie familiari, una rappresentazione teatrale e flashback.
A discapito del film, va detto che alla lunga, a furia di chiedere la mano per poi spingersi in un baratro – sopra/dietro/oltre l’altro – degli inferi, il processo creativo, per quanto fulgido e sferzante, manca di ossigeno, parte ripetutamente per la tangente e tira la corda correndo il serio rischio di spezzarla.
Contemporaneamente/Viceversa, a suo favore va registrato il coraggio e l’audacia di procedere senza freni, di andare a briglia sciolta, di entrare a gamba tesa senza fare alcun conto, rifiutando categoricamente di stare al suo posto, di soggiornare in una casella ordinaria e prestabilita, di fornire risposte limpide/incontrovertibili.
Infine, va assolutamente menzionato che se il film ha comunque sia una sua essenza/efficacia, una consistente parte del merito deve essere riconosciuta a Joaquin Phoenix che, tra un Joker e un Napoleone, garantisce la sua innata attitudine – degna di una punta di diamante - a calarsi nella parte, tanto più se complessa e vertiginosa, schiacciata e stritolata, sviscerandone ogni anfratto e affanno, donandosi completamente alla causa.
In conclusione, provando a fare una faticosa/complicata sintesi, Beau ha paura è un film maniacale e impegnativo, spiazzante e abbagliante, che non adotta alcun tipo di accortezza, una specie di prova di forza/resistenza che può scatenare amori assoluti così come lasciare di stucco.
Tra realtà e immaginazione, rettilinei pieni di buche e tornanti secchi, ostruzioni e smarrimenti, anima e corpo, paure e avventure, paranoie e frustrazioni, dark humour e proiezioni destabilizzanti, condizioni umane senza speranza e giochi di prestigio, fragilità emotive e macerie umane, stacchi impetuosi e ripiegamenti scordati, contrazioni e rasoiate, con una morfologia spettinata che non si dà mai pace.
Proteiforme e frastagliato, trasfigurato e ostico.
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