Regia di Rian Johnson vedi scheda film
Sono passati più di tre anni da quando l‘ultima pellicola di Rian Johnson (Knives Out - Cena con delitto) si trasformò in un inatteso fenomeno, sorprendendo positivamente il pubblico e la critica di tutto il mondo, e Netflix ha pensato bene di sborsare quasi mezzo miliardo di dollari per accaparrarsene i diritti e trasformarlo in un nuovo (lucrosissimo?) franchise, affidandone le sorti (ovviamente) a chi lo aveva immaginato e scritto e mettendo immediatamente in produzione un sequel che sfruttasse al meglio il cospicuo budget assegnatogli, sequel che è stato poi distribuito sulla piattaforma a partire dal 23 dicembre dopo un rapidissimo passaggio in sala con il titolo di Glass Onion.
Poirot o Clouseau?
Regista, produttore e cast tecnico restano gli stessi così come anche l’approccio rielaborato allo stile dei gialli di Agatha Christie e l’impiego, anche piuttosto enfatico, dello “star power” hollywoodiano tipico di certe produzioni degli anni’70 (sul tipo di Assassinio sul Nilo di John Guillermin, pellicola che Johnson aveva ben in mente quando ha scritto questo secondo capitolo), un approccio identico a quelle recentemente rilanciato anche da Kenneth Branagh nelle sue pellicole su Poirot (e le similitudini, per fortuna, si fermano qui).
Forse anche per questo il regista si è visibilmente sforzato di fare qualcosa di (completamente?) diverso rispetto alla prima pellicola, forse per sorprendere il pubblico che, dopo il primo film, si era ormai convinto di sapere cosa aspettarsi o forse ancora per una sorta di rivalsa personale, mostrando di saper giocare con i cliché narrativi in modo ancora più originale e, soprattutto, sorprendente anche con chi si è convinto di aver già visto tutto.
E non si tratta solo dell’aspetto geografico e/o ambientale, passando dalle foreste autunnali del New England a una calda estate su un’isola greca, o di capi d’abbigliamento scambiando il maglione (a collo alto) di Evans con lo slip (terribilmente) inguinale di Bautista e nemmeno della trasformazione del “miglior detective del mondo” da epigono di Hercule Poirot a seguace dell’Ispettore Clouseau ma piuttosto del fatto che Johnson, pur mantenendo l’impostazione classica del film precedente, ha preferito realizzare una messa in scena (eccessivamente?) sopra le righe, incastrandola in una struttura vagamente asimmetrica e assolutamente avanguardista.
E se Knives Out era un omaggio (riuscito) ai classici del genere Glass Onion ne è piuttosto una satira (più problematica), una presa in giro miracolosamente (!?) in equilibrio tra caricatura e macchietta, con attori in overacting e/o interpretazioni da caratteristi.
"Bubù...settete!"
Restano comunque molte cose che avevano reso Knives Out un successo ed è legato principalmente alla continuità del reparto tecnico rimasto incolume, dal design scenografico di Rick Heinrichs alla fotografia di Steve Yedin, dai costumi di Jenny Eagan al montaggio di Bob Ducsav, ma a rimanere è soprattutto il disprezzo di Johnson per i ricchi che nella precedente pellicola era nei riguardi degli ereditieri di vecchie fortune mentre in questa è rivolta invece ai nuovi (economicamente) privilegiati ovvero a “innovativi” geni informatici dell’industria privata come startuppari, influencer e streamers ma anche ex modelle (Moda) e rappresentanti del pubblico impiego (politica) piegati agli interessi dei nuovi ricchi.
Ma rimane anche la volontà di Rian Johnson di raccontare la nostra contemporaneità e i nuovi “idoli” delle masse dirigendo un film “stupido” (denunciando e mettendo contemporaneamente in ridicolo i mezzucci e i classici trucchetti del genere “giallo”) che narra di ricchi stupidi e di un pubblico (cinematografico e non) altrettanto stupido che corre dietro agli uni e agli altri.
Infatti, oltre a essere il titolo dell’ultima pellicola di Rian Johnson, Glass Onion è anche il titolo di una delle canzoni più autoreferenziali dei Beatles nel quale mettevano in guardia sull’eccessiva soggezione del pubblico verso i propri idoli, arrivando a vedere significato nascosti e/o profondamente eruditi in qualsiasi cosa facessero.
Una struttura trasparente che invece di mostrare la realtà la distorceva rivelando ad ogni osservatore quello che voleva/desiderava vedere.
Ultima cena al Glass Onion.
E Glass Onion è anche il nome della struttura che ospita gli eventi principali del film e dove Edward Norton, nei panni di un eccentrico miliardario ispirato ai magnati della Silicon Valley, accoglie la sua cerchia interna, i cosiddetti “disgregatori”, interpretati da Dave Bautista, Kate Hudson, Kathryn Hahn, Leslie Odom Jr., Janelle Monàe, Madelyn Cline e Jessica Henwick.
Ognuno di essi è il simbolo e l’incarnazione di avidità e bramosia del potere, protetti e nascosti dietro dalla loro “costruita” (e colpevolmente promossa dai media, aggiungo io) estrazione sociale, apparentemente mossi dalla libertà, dai loro ideali o dalle istituzioni che rappresentano quando in realtà pedine consapevoli (ma ben remunerate) di un burattinaio (il capitalismo?) egocentrico, arrogante e infantile ma soprattutto, per quanto machiavellico, incredibilmente stupido.
E se gli idioti trionfano nel mondo e soltanto perché altri idioti (noi) lo permettono e se questi “personaggi” vengono rappresentati come i vincitori, i rivoluzionari, i promotori (salvatori?) del nostro futuro è per una nostra scelta (pilotata? Forse, ma pur sempre nostra) e del nostro bisogno (fisiologico?) di dare senso e importanza anche a cose (e a persone) che sono in realtà prive di entrambi.
"A me gli occhi..."
VOTO: 6
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