Regia di Rian Johnson vedi scheda film
A una posizione di prestigio, che garantisca di avere carta bianca e di conseguenza di agire in assoluta libertà, ci si può arrivare principalmente per merito, attraverso un percorso solitamente lungo e periglioso che culmina con un exploit/upgrade tale da cambiare radicalmente le prospettive, oppure ricorrendo a sotterfugi, spesso e volentieri riconducibili ad azioni sgradevoli e sgambetti di scostumata prevaricazione/arroganza.
Nella prima categoria, rientra di diritto Rian Johnson, un regista che ha brillato fin dall’esordio (Brick – Dose mortale), che ama alla follia il cinema (The brothers Bloom) e la sua declinazione nei generi (Looper), che aveva già conosciuto le grandi produzioni, comunque sia blindate con vincoli invalicabili (Star Wars: Gli ultimi Jedi), e che con Cena con delitto – Knives out, un film ideato, voluto, concepito e diretto con il coltello tra i denti (per riuscire a raccattare il budget e partorirlo, ha dovuto fare dei veri e propri salti mortali), si è assicurato emolumenti mostruosi e guadagnato una piena – e meritatissima - autonomia.
Alla seconda, appartiene una consistente fetta dei personaggi che popolano e animano questo Glass onion: Knives out. Uomini e donne di successo che hanno gli armadi pieni di scheletri e che per garantirsi il loro status quo sono disposti a fare carte false, a firmare un patto con il diavolo, a sorreggere un teatrino sgradevole senza preoccuparsi dei danni arrecati pur di continuare a vivere nella bambagia.
Nel bel mezzo della pandemia del Covid, Miles Bron (Edward Norton – Fight club, American history X), un miliardario che non pone argini al proprio ego, invita i suoi migliori amici nella sua lussuosa dimora su un’isola dell’Egeo. All’appuntamento si presentano Claire Debella (Kathryn Hahn – WandaVision, Private life), una figura politica di rilievo, Lionel Toussaint (Lionel Odom Jr. – Quella notte a Miami, Harriet), uno scienziato di fama, Duke Cody (Dave Bautista – Guardiani della galassia, Army of the dead), un popolare youtuber che arriva con la sua compagna Whiskey (Madelyn Cline – Outer banks, The giant), Birdie Jay (Kate Hudson – Quasi famosi, Tu, io e Dupree), un’affermata stilista accompagnata dalla sua assistente Peg (Jessica Henwick – Matrix resurrections, Love and monsters), Cassandra Brand (Janelle Monae - Antebellum, Il diritto di contare), che con tutti gli altri convitati ha un conto in sospeso, e a sorpresa anche Benoit Blanc (Daniel Craig – 007. Skyfall, Millennium – Uomini che odiano le donne), un detective altamente intuitivo che viene accettato di buon grado vista la finalità del ritrovo.
Infatti, Miles ha organizzato una cena con delitto che però non andrà come da lui preventivato. Nell’occasione, emergeranno i reali rapporti che hanno cementificato il gruppo e messo in disparte Cassandra, chiarendo quale effettivamente sia lo stato di fatto e cosa accadrà da lì a breve ai protagonisti della vicenda.
Dopo aver passato anni a mendicare da una porta all’altra alla ricerca di un sostegno economico per mettere in pratica i suoi progetti, con Glass onion: Knives out, Rian Johnson può per la prima volta ragionare e operare in piena indipendenza, forte di un contratto miliardario siglato con Netflix, a sua volta ripagata con un film che dispone dell’appeal e della visione grandeur che quasi sempre fanno difetto alle sue produzioni, anche quando i budget sono stellari (tra gli altri, vedasi 6 underground, Red notice, The gray man). Al di là del rimpianto per la sua mancata uscita su grande schermo (avrebbe probabilmente dato una grossa mano a un sistema in perpetuo affanno), il film diretto e sceneggiato dall’autore di Silver Spring è un banchetto di gala, nonché un seguito ideale giacché riprende un soggetto acclamato senza crogiolarsi sugli allori e sul suo prestigioso biglietto da visita, aggiornandone il capitolato disciplinare.
In sostanza, installa, collauda e cavalca delle vere e proprie montagne russe che provocano capogiri, un apparato/network che prende il via da un modello classico, quello del giallo/thriller, per poi sfogarsi con dirompente vigoria, aprendo una scatola (non per niente, gli inviti partono così) dietro/dentro l’altra, fornendo punti di vista aggiuntivi, ripassando contestualmente i precedenti, con un mistero da risolvere che continua a rimodulare le sue spoglie.
Questa procedura accalappia due piccioni con una fava. Da una parte, l’intrattenimento è ampiamente assicurato, non per niente imbocca – e manipola - lo spettatore standard/generalista fornendo spiegazioni dirette e ripetute per chiarificare e rendere gemmea l’architrave di base, dall’altra vengono promossi/coltivati/individuati/enunciati vari processi cinefili, a partire dalle singole note cinematografiche e letterarie, spiattellate e sparpagliate in lungo e in largo, fino ad arrivare al concept che, a tutti gli effetti, è un’evoluzione continuativa di Cena con delitto – Knives out, traslandosi/trapiantandosi da un gruppo di vili personaggi che agognano il malloppo a un altro che se lo è già bellamente intascato.
Un modus operandi sapientemente sviluppato in un forcing vorticoso, che sceglie – di volta in volta - cosa mostrare e quanto omettere, gli elementi da posizionare sotto la sua lente d’ingrandimento e quelli da accennare, dove condurre e quando depistare, le direttive da perseguire senza indugi e quelle da ribaltare ex abrupto.
Infine, questo esercizio di catalogazione a capofitto si avvale di un personaggio già diventato cult qual è Benoit Blanc, che consente a Daniel Craig di andare a briglia sciolta, di liberarsi definitivamente dell’ingombrante immagine di James Bond, mentre tra gli altri ritroviamo un Edward Norton in libera uscita, felicemente eccedente e spregiudicato, controbilanciato dalla marmorea fermezza di Janelle Monae e attorniati da un corredo definito da altri interpreti che occupano con diligenza le rispettive caselle, a cominciare da Kathryn Hahn e dalla prestanza fisica di Dave Bautista.
Alla resa dei conti, Glass onion: Knives out è un film multiuso e pantagruelico, dalla reattività incontenibile, camaleontico per come si pone, giostra le sue cartucce e colloca quei chiavistelli da cui scaturiscono i tanti coup de théâtre di cui dispone. Getta fumo negli occhi e installa bombe a orologeria, rincara la dose mentre si gingilla nel suo imperterrito moto che fa impazzire a ripetizione la bussola, con un martellante fare & disfare.
Tra un album di figurine che fornisce dividendi disomogenei e cammei extra lusso (impagabile quello di Hugh Grant, estemporaneo quello di Ethan Hawke che capitava da quelle parti mentre era impegnato sul set di Moon knight), burattinai e marionette, enigmi e affondi, sconfinamenti e piroette, iperboli e precisazioni, reminescenze contemporanee (quei malcostumi che tanto infastidiscono il comune sentire) e altre che provengono dal passato (del cinema), colpi di reni e parole d’ordine, manie di gigantismo e richiami edotti.
Accattivante e snervante, dimostrativo e intenzionale, semplicemente debordante.
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