Regia di Rian Johnson vedi scheda film
La lettera rubata, ovvero: “What Is Reality?!”
Questo «a Ryan Johnson whodunnit: “Glass Onion: a Knives Out Mistery”», una sorta di “i Delitti del BarLume- Tana Libera Tutti” in salsa James Bond che cita il “Mio Dio, è pieno di stelle!” di David Bowman in esergo a “2010: the Year We Make Contact” di Peter Hyams (in realtà la frase, l’ultimo messaggio conosciuto dell’ulisside-astronauta, viene pronunciata alla fine di “2001: a Space Odyssey” di Arthur C. Clarke), e al contempo ancora una variazione sul tema “Murder by Death” (And Then There Were None o Ten Little Niggers/Indians e Three Blind Mice & the MuseTrap), si pone più o meno in linea col predecessore capostipite (in attesa di un terzo capitolo), risultando addirittura più performante durante la prima parte (***¾, 1h10’), molto divertente, epperò invece collassando abbastanza miseramente in un maelström ipersaturo di restart (di per sé gradevole, anche per la “gratificazione” dell’intuire in anticipo che la scatola non fosse stata resettata, ma portata da X bella sfaciata così com'era ad Y), plot twist (un tanto al chilo), flashback (la parte meno noiosa) e spiegoni (o presunti/sedicenti tali) nella seconda ed ultima (**¼, 1h00’), tanto da mandare in ipossia lo spettatore.
Per fortuna Janelle Monáe (“Antebellum”, “the Glorias”, “HomeComing”) e Kate Hudson (“Qual è la realtà?!”) contribuiscono con la loro presenza a mantenere sveglio almeno mezzo cervello di chi assiste a queste due ore e 20’, credits compresi, di ghirigori bellurici senza capo né coda.
Daniel Craig ed Edward Norton funzionano per forza, Dave Bautista e Kathryn Hahn idem, Leslie Odom Jr., Jessica Henwick e Madelyn Cline parimenti ben completano il cast principale secondario, e una folta schiera di piccole parti e camei punteggiano e puntellano il tutto: Jackie Hoffman (impagabilmente memorabile), Hugh Grant (che fa la boa al giro di boa del film), Noah Segan (il MacGuffin drugo-umano che per l’appunto per sua natura muore, in senso figurato, lì e non porta d’alcuna parte), e poi Ethan Hawke, Serena Williams e Dallas Roberts, e ancora, in collegamento via Zoom durante il lock-down, Angela Lansbury, Stephen Sondheim (il film è dedicato alla loro memoria: "Murder, She Wrote" e "the Last of Sheila"), Natasha Lyonne e Kareem Abdul-Jabbar, ed infine, a vario titolo, genere, forma e sostanza, Jake Tapper, Yo-Yo Ma, Joseph Gordon-Levitt ("Dong!"), Jeremy Renner e Jared Leto.
Da una parte il cast tecnico-artistico è in continuità con quello di “Knives Out” (fotografia di Steve Yedlin, montaggio di Bob Ducsay, musiche di Nathan Johnson e produzione dello stesso regista e sceneggiatore con Ram Bergman e la loro T-Street, mentre la distribuzione questa volta è affidata a Netflix), ma dall'altra il cambio di passo rispetto al capostipite è tanto sì netto quanto però discretamente (aka parecchio) rovinoso.
Bella l'idea delle "parole sbagliate" quali indizi (ne ho colta certamente una, forse due, toh, anche se non è che siano state l'elemento più determinante per riuscire a capire quanto il nostro Elon Musk dei poveri in fondo sia solo, più che altro, un babbeo-citrullo-pisquano.)
La lettera rubata (e comunque "It's Never Twins!"), ovvero: “What Is Reality?!”
Un *** (molto) risicato, diciamo (generosamente) **¾.
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