Regia di Edward Berger vedi scheda film
Opera di grande impegno e realismo, con una realizzazione tecnica ineccepibile, ma, soprattutto, capace di veicolare un messaggio che trascende di parecchio quello più banale (cioè che la guerra è un male): chi controlla l'informazione e la propaganda può spingere le proprie vittime a trasformarsi in carnefici, propri e altrui.
La storia si ripete sempre, ed è per questo che un paese non può essere sano senza una sana memoria della storia.
Purtroppo già il fatto che a scriverla siano i vincitori mina in partenza la possibilità di conoscerla realmente. Anche perchè l'illusione di sapere è più pericolosa della consapevolezza di ignorare (Socrate docet).
Qui non si affrontano le cause del conflitto, ma si parte già dal mezzo dell'azione, e in particolare dai prodromi dell'arruolamento, vissuto come una realizzazione personale e sociale, in un contesto di indottrinamento che, come vediamo oggi, riesce sempre ad accalappiare le masse con facilità. Cambiano le tematiche, i fini e le ragioni, ma la retorica resta invariata: "sei un vile se non combatti per il Kaiser"; "sei un traditore se non combatti per il Fuhrer"; "sei un verme se non combatti per la democrazia"; "sei un cretino se non combatti contro il covid"; "sei un infame se non combatti contro Putin"; "sei un irresponsabile se non lotti contro la cioddue", e così via all'infinito.
E fu così che i "nostri", in cui possiamo rinvenirci i giovani di ogni tempo (e, in senso metaforico, più in generale i talmente ingenui da poter essere paragonati ai fanciulli), partono per la guerra carichi ed entusiasti, e si scontrano immediatamente con un mondo cui nessuno li aveva preparati. E che, paradossalmente, è reso possibile proprio da loro: è un circolo vizioso senza fine, in cui i carnefici sono vittime, e viceversa. Più volte, nelle due ore e mezza di visione, assistiamo a questo meccanismo perverso nel quale chi combatte vede nell'altro un nemico, fino a scoprirsi in esso, così realizzando la totale identità: poveri, illusi da nobili ideali adoperati come esche, che si trovano a combattere altri poveri, illusi dai medesimi ideali. E, alla fine, chi impartisce gli ordini sta al caldo del camino, servito e riverito, mentre a morire di stenti, malattie e proiettili, ci stanno gli altri. Esemplare, a tal proposito, il dialogo del generale con il proprio sottoposto, cui confessa la sua principale doglianza: esser cresciuto in un periodo di pace troppo lungo per aver potuto conquistare onori militari, da perseguire quindi a quel punto sulla pelle altrui.
Quest'opera predilige i fatti alle parole, e non si dilunga tanto in dialoghi esplicativi, limitandosi a dare qua e là qualche imbeccata sui "fondamentali". La prospettiva trasmessa dal regista si fonda su pochi capisaldi: la manipolazione dell'individuo attraverso la propaganda rivolta alla massa, l'insensatezza della guerra, il fatto che appena si smette di vedere nell'altro una bandiera e si percepisce la persona, l'umanità prevale e impedisce di prendere vite con leggerezza, chi impartisce gli ordini non ne subisce le conseguenze.
Il film è crudo, come giusto, ma non forzatamente. Colpisce allo stomaco, ma con la forza dei sentimenti che evoca e attraverso musiche che rendono perfettamente la sensazione di pericolo, di desolazione e di tragedia in perenne agguato. Si percepisce la differenza con molta della cinematografia americana, salvo naturalmente quel capolavoro di Lettere da Iwo Jima, del quale condivide molti temi e intenti.
Il protagonista merita un plauso per l'espressività che è capace di adoperare, così trasmettendo stati d'animo, passioni e timori, il tutto in modo realistico e mai artificioso.
La sceneggiatura, da una parte, e la regia, dall'altra, lavorano in armonia, riuscendo a tagliare tutto ciò che non è essenziale, eppure offrendo una ricostruzione storica assai fedele dei fatti essenziali di quel conflitto: la staticità del fronte occidentale, l'umiliazione imposta dagli Alleati, e la spaccatura tra politica e forze armate, con queste ultime che accuseranno la prima di aver tradito una Germania non sconfitta militarmente, così gettando le basi del conflitto successivo.
Insomma, un'opera sicuramente ispirata, ma non per tutti: i tempi dilatati, specie nella prima parte, rendono bene l'atmosfera di un fronte statico, ma stridono con l'offerta "concorrente" di lungometraggi che puntano piuttosto sull'azione a tutti i costi per catturare l'attenzione (sempre più fugace) dello spettatore. Soprattutto, chi è abituato a facili concessioni al favore del pubblico, potrebbe scontrarsi con uno svolgimento che non cerca affatto di compiacere, ma, piuttosto, vomita tutta la turpitudine della guerra, che non guarda in faccia nessuno, e infrange le amicizie, i sogni e gli affetti.
Purtroppo la maggior parte delle persone si limiterà tutt'al più a concludere che la guerra è un male, senza rendersi conto che il vero male è proprio la manipolazione delle persone, che insinua i conflitti creando o esasperando le differenze. Quei ragazzi esaltati e desiderosi di andare a morire per il Kaiser erano gli stessi che volevano far fuori Saddam, e che aggredivano chi non si voleva mettere una mascherina o fare un "vaccino": tutti, insomma, pronti a scannare propri simili, trasformati ad arte in "nemici", per eseguire ordini dei veri nemici, trasformati in idoli.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta