Regia di Romain Gavras vedi scheda film
È guerra nelle banlieu. Non è guerriglia, ripresa con la camera a mano, iper montata, sgraziata; è guerra epica, a cui assistiamo dallo sguardo privilegiato della penna di un tragediografo greco. Abdel, Mokhtar e Karim sono fratelli come Eteocle e Polinice, e sono mossi dalle intenzioni epiche di personaggi monolitici, da dilemmi epici quasi cosmici, da voglia di vendetta e giustizia. Dietro al ben dissimulato schematismo del rapporto fra i tre fratelli (uno da una parte della barricata, uno dall’altra e uno in mezzo) sta un complesso meccanismo di tensione che Gavras restituisce con una regia funambolica, immersa nell’azione ma anche onnisciente, in grado di perlustrare entrambi gli schieramenti e vederne l’estrema somiglianza così come l’estremo carico di valori e desideri che portano sulle spalle.
Da un lato Karim vuole giustiziare personalmente i poliziotti responsabili della morte di un ragazzino del quartiere Athena; dall’altro Mokhtar vuole scappare dal quartiere senza farsi trovare, sentendo al telefono la polizia; e in mezzo Abdel, che dovrebbe essere la parte della ragione ma si fa trascinare dal vortice tragico. E Gavras che non si schiera - solo forse nel finale-finale, a livello più politico - ma gira attorno ai suoi personaggi, come fossero statue da ammirare e osservare da tutti i lati.
La banlieu come luogo di miti è stata rappresentata al cinema negli ultimi 30 anni fino allo stremo, e ora è arrivata a un livello di stilizzazione tale da diventare terreno fertile per eroi e tragedie (ma eroi imperfetti e assurdi), con potenziale fascino per il grande pubblico, che forse su Netflix farà spopolare il film.
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