Regia di Olivia Wilde vedi scheda film
Pur con qualche incoerenza e discontinuità, quest'opera si contraddistingue per una trama interessante, recitazione di ottimo livello, e una fotografia ammirevole, che contribuisce in modo determinante a calare lo spettatore nell'atmosfera del tempo. Utile riflessione esistenziale, che non dovrebbe essere liquidata superficialmente.
La vita è un sogno, o i sogni aiutano a vivere meglio? Domanda una volta Gigi Marzullo ai suoi ospiti. In questo caso, il quesito potrebbe essere: "Cosa faresti per una vita da sogno?". Dove finisce la realtà, e dove inizia la finzione? E se vivessimo tutti in una gigantesca Matrix? Speculazioni tutt'altro che futili, declinabilli (e declinate) in molte versioni, da diversi autori, con risultati assai eterogenei. Olivia Wilde, però, non è nè i fratelli, nè le sorelle Wachosky, mancandole evidentemente quel sostrato filosofico che pervade diverse delle loro opere. Si vede, però, che la regista ha studiato, e questo lo dimostrano le numerose suggestioni cui Don't Worry Darling palesemente attinge. Per fortuna c'è anche una rielaborazione originale, a fare da amalgama al resto. Innanzi tutto, l'ambientazione nei Fabulous 50s è un'intuizione pregevole, che richiama un classico luogo comune del pensiero americano medio (perlomeno di chi ha superato i quaranta), che li vuole un'isola felice. Non a caso, la famiglia Cunningham portava nelle nostre case una spensieratezza che dai '60 sarebbe andata persa, e che parzialmente soltanto gli anni '80 hanno saputo riprodurre, sia pure in modo fracassone e ancor più materialista, finendo per risultare una specie di esasperazione dei '50.
La fotografia ipersatura e le ambientazioni restituiscono un fascino idilliaco e allettante, che coingolve facilmente lo spettatore: chi non vorrebbe ritrovarsi lì?
La recitazione si attesta su ottimi livelli, regalandoci protagonisti appassionati nei rispettivi ruoli, e volti perfettamente abbinati ai personaggi: la regista ritaglia per sè un ruolo da comprimaria, in cui comunque si muove senza eccessi, con disinvoltura e grazia.
La sceneggiatura, pur non priva di sbavature, invoglia alla visione e suscita una crescente curiosità verso il dipanarsi degli eventi. L'introduzione è un po' confusa e dispersiva, mentre il finale è sicuramente la parte meno riuscita: in parte troppo stereotipato, e in parte troppo abbozzato. A volte, guardando una bella auto, o magari anche una moto, si parte con un frontale da urlo, ma quando si arriva al posteriore sembra quasi che il progettista abbia tirato due linee stanche giusto per chiudere il progetto. D'altro canto, in questo genere di opere è pur sempre necessaria una scelta difficile: lavorare di sottrazione, o rischiare di sforare nel verboso, ridondante, e pleonastico? La regista, in questo caso, ha optato nettamente per la prima soluzione, e, per quanto possiamo osservare il taglio che lascia un po' di sospesi, dovremmo pur domandarci cosa ci sarebbe stato da aggiungere.
Probabilmente le tematiche di fondo di quest'opera non sono poi così interessanti per l'autrice, quanto la possibilità di sfruttarle commercialmente; cionondimeno, possiamo utilizzare diverse chiavi di lettura per raccogliere interessanti stimoli di riflessione. Dal rapporto tra epoche differenti, seppur non lontanissime, al modo di affrontare le relazioni umane, e fino al senso stesso della vita. Pur senza scomodare Bohm, la teoria dell'universo olografico non può non destare interesse, e l'invito alla rilettura in chiave critica di "chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo" è sempre benvenuto.
In conclusione, la debolezza principale del film si rivela l'andamento incoerente e discontinuo, ma, soprattutto, sbilanciato a favore di una introduzione troppo prolissa, e a danno di un finale che risulta assai contratto. Questi difetti, comunque, non inficiano il risultato al punto da sconsigliarne la visione, anche in virtù dei molti elementi riusciti, dalle atmosfere alla recitazione. Un'opera godibile a più livelli, il che ormai può dirsi sempre più raramente.
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