Regia di Olivia Wilde vedi scheda film
Someone To Watch Over Me...
Il fatto inequivocabilmente fastidioso che la descrizione della tecnologia su cui si basa Victory - in particolar modo per quanto riguarda l’hardware, ché per ciò che concerne il software al limite si può sempre ricorrere al clarkiano effetto “magia” - non sia non dico sviscerata, ma nemmeno minimamente presa in esame dai dialoghi, dallo script e dalla realizzazione di “Don’t Worry Darling” - dato che far dire dall’attrice-regista Olivia Wilde ("House M.D.", "Her", "MeadowLand", "Vinyl", "Richard Jewell", "GhosrBusters: Legacy", "Babylon") all’attrice-protagonista Florence Pugh, attraverso il famigerato dispositivo dell’odimo, che se si muore in/a Victory si muore anche fuori nel mondo reale (un espediente narrativo esagerato, che crea più danni che benefici all’opera) ovviamente non è sufficiente di per sé, come se fosse una verità acquisita che sta in piedi da sola per autoaffermazione, ad innescare la sospensione dell’incredulità - limita un bel po’ (senza raggiungere il dispiacere provocato da, tipo, un film quale “the Midnight Sky”) la resa finale dell’apologo morale scritto da Katie Silberman (“BookSmart”) basandosi s'un suo soggetto condiviso con Carey & Shane Van Dyke (“the Silence”), ma il “resto” (certo, il cinema è montaggio, come diceva Kuello, e da “Vita di Gesù” puoi anche cavarci fuori un “Io Giuda”, ma non è questo il caso) della confezione di lusso è talmente iper-ultra-pluri-professionale, partendo dalla...
...mattatrice assoluta Florence Pugh ("the Falling", "Lady Macbeth", "Marcella", "the Little Drummer Girl", "MidSommar", "Little Women", "Black Widow", "the Wonder", "Oppenheimer"), una piccola forza della natura che trotterella in giro (col suo magnifico baricentro basso à la Emilia Clarke) infaticabile coadiuvata da un gran bel cast -[cominciando da un ottimo Chris Pine (nelle vesti di Utile Idiota "carismatico", esca per la frotta di ominicchi), continuando con Harry Styles (bravo) e la stessa, sempre brillante, Olivia Wilde (suo è l'unico personaggio femminile che ha una parvenza di ragione più o meno "comprensibile", se pur terribile, per trovarsi consapevolmente 24/7 in quel non luogo infernale, limbo purgatoriale ed oasi di perdizione "salvifica") e giungendo a (Das Kapital!) Gemma Chan (paradossalmente una machiavellica incarnazione ginoide dell'uguaglianza - una tantum, eh - e non solo un altro luogo comune cerchiobottista sottratto alla bisogna dal catalogo degli stereotipi), KiKi Layne, Sydney Chandler, Kate Berlant e Nick Kroll, e ricordando anche la partecipazione di Dita Von Teese e il para-freez frame di Monroe Cline]-, e arrivando alle “maestranze” hollywoodiane d'alto livello [fotografia dell’aronofskyano Matthew Libatique, montaggio di Affonso Gonçalves (“Winter’s Bone”; Jarmusch: Only Lovers Left Alive, Paterson, the Dead Don’t Die; Haynes: Mildred Pierce, Carol, WonderStruck; Zeitlin: Beasts of the Southern Wild, Wendy; Carpignano: Mediterranea, A Ciambra, A Chiara) e musiche di John Powell, più una polposa track-list di canzoni (hit) originali… “d’epoca”: una per tutte: Ella Fitzgerald con la cover di “Someone To Watch Over Me”], che alla fine, tutto sommato, a conti fatti questa frankenstein-distopia costruita - o, meglio: rabberciata - con i "tropo-scarti" di tutte le altre funzionicchia.
[I confini "invalicabili" - alle donne è vietato guidare come se il deserto statunitense fosse quello arabico - della Zona (e, da un altro PdV, la sua stessa topografia sballata), le memorie censurate e la pacificazione forzata sono spiegabili col condizionamento chirurgo-elettro-chimico e digital-psichico, ma l'aereo che si schianta lambendo la "bolla" cosa vorrebbe/dovrebbe essere, un'allegorica metafora elaborata a mo' di auto-avvertimento da parte del cervello della protagonista?]
Peccato: a Olivia Wilde e Katie Silberman per passare da “BookSmart” (un gran bel film) a “Don’t Worry Darling” (una gran bella occasione mancata) non avrebbe fatto alcun male, anzi, un’opera seconda, magari, per l’appunto, transitoria e di passaggio, con la quale, perché no, andare pure a sbattere il muso contro il pubblico, la critica, la pastorizia, gli amici, i parenti, i colleghi e gli animali domestici, e invece si è deciso di saltare il fosso per la lunga: gesto folle/vanaglorioso [prodotto da New Line Cinema (del gruppo Warner) e Vertigo Entertainment (partner di Warner), ed esecutivamente, tra gli altri, da Catherine Hardwick, e distribuito dalla stessa Warner] apprezzabile [un “the Village” dickiano (una versione ancor più crudele di "Severance") per semi-InCel (il lato - ancor più - oscuro di "I'm Thinking of Ending Things") in una cornice "tossica" à la “Made for Love”], risultato non all’altezza delle intenzioni.
* * * ½
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