Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Un capolavoro? Macché. Un brutto film? Macché. Niente di che? Macché. Bello? Forse. Ma non un granché. Eh eh. Sinceramente, così è.
Ebbene, la questione Spielberg ritorna puntuale. A scadenze regolari? No, appena un suo nuovo film esce. Che poi è quasi la stessa cosa. Cosicché, si ripresenta, inquietante ma interessante, un instant classic, no, una classica domanda presso i cinefili e i cosiddetti addetti ai lavori, ovvero la seguente: Steven è veramente un genio, è quello d’un tempo o, addirittura, non è mai stato nessuno e perfino le sue opere più celebrate son invero, riviste e giudicate col senno di poi, delle simpatiche sciocchezzuole e delle pellicole, ai tempi della lor uscita, sopravvalutate in modo spropositato e ai confini della realtà, oltre ogni immaginazione più irreale? Esistono ed esisteranno sempre, anche quando avverrà, comunque sia tristemente, la dipartita di Spielberg, per l’appunto, gli spielberghiani inossidabili ed eterni, ridenti, non redenti, sì, irredimibili dei più irriducibili. Ovvero coloro legati all’idea, chissà se giusta o sbagliata, secondo cui il Cinema non ha e non deve avere una funzione maieutica, potremmo dire financo propedeutica e/o istruttiva, sebbene da Schindler’s List in poi, con le prove generali anteriori de Il colore viola, Spielberg stesso non è più il portavoce dell’aforisma: la settima arte deve far sognare.
Ciò dobbiamo, senza dubbio, subito puntualizzare. Aggiungendo inoltre una frase forse non propriamente simpatica ma apodittica e onestamente veritiera: Spielberg è rincoglionito. Così come, ahinoi, accade alla maggior parte della gente dalla settantina in poi. Tralasciando, ovviamente, i giovani vecchi che adorano Munich, considerandolo un capolavoro quando invero è un mattone tremendo, peraltro poco emozionante e dalla durata indigeribile. Come direbbe un boomer di Bologna... roba da spappolare i maroni.
Roba, dico invece io, solo per fanatiche di Daniel Craig prima maniera ed Eric Bana figo per finte fanatiche di Cristo come la ragazza fintamente educanda di tale The Fabelmans. Quasi unanimemente, The Fabelmans è stato reputato un gran bel film. Diciamo che ha dei momenti stupendi alternati a banalità sconcertanti e menate scopiazzate dallo stesso zemeckesiano Ritorno al futuro (ma guarda un po’) con l’immancabile totem della cultura WASP per eccellenza: il romanticissimo, angosciante, temuto eppur idealizzato, tremendo ballo della scuola. Brian De Palma, amico di Spielberg, a tal proposito, ci regalò la Spacek di Carrie, il pappa & ciccia di Steven, alias Francis Ford Coppola, Peggy Sue Got Married, John Travolta fu bullo nell’appena succitato, “sottotitolato” in italiano, lo sguardo di Satana, e poi il mitico tamarro Danny Zuko di Grease. Danny Zuko, personaggio per cui la prima scelta fu Henry Winkler/Fonzie/Arthur Fonzarelli di Happy Days. E ho detto tutto. In Italia, avemmo anche Antonello Venditti e Giorgio Faletti professore in Notte prima degli esami. Che c’entra? Attualmente, i collegiali, no, non solo i liceali italiani, stanno sostenendo il temibile Esame di Maturità. O hanno già finito? Mah. Fabrizio Bracconeri, Bruno Sacchi de I ragazzi della 3ª C, perse venti chili per lo stress degli orali e, dopo essere stato trattato alla pari d’una merda dagli insegnanti, soprattutto dal bastardino, partenopeo docente di italiano (incarnato da Antonio Allocca, cioè Tonino, ah ah) e dai suoi compagni di classe, finita l’interrogazione, trascorse un’intera settimana ad evacuarne sulla tazza del cesso il peso devastante. Pesante, parola odiata da Christopher Lloyd/Doc di Back to the Future. Parola invece amatissima da Michael J. Fox di Voglia di vincere, no, Marty McFly. The Fabelmans non è pesante come Amistad e non fa cagare ma non è nemmeno il capolavoro che molti pensano sia. Il personaggio di Seth Rogen è un viscido, per di più è comprensibile immediatamente che ha una relazione nascosta con quello di Michelle Williams, mentre il padre di “Spielberg” sapeva tutto? Jeannie Berlin/Haddash Fabelman aveva già capito... che, come si suol dire, brutta com’è, poteva giocoforza sol interpretare il ruolo dell’avvocatessa cazzuta, ma inculata, in The Night Of. Judd Hirsch non è giovane come Emile Hirsch ma forse, dopo il liceo, il suo personaggio voleva ribellarsi ai dettami scolastici e famigliari, per vivere à la Easy Rider, specialmente Into the Wild. Cosicché diede la caccia ai nazisti come in This Must Be the Place, aiutando il glaciale pagliaccio Cheyenne/Sean Penn a trovare il maiale, forse Ralph Fiennes di Schindler’s List giammai morto e divenuto una mummia come lo stesso Penn, però non del film di Paolo Sorrentino appena sopra scrittovi, bensì di Licorice Pizza. Ivi, capace di “sfoderarci” una performance più imbalsamata di Tutankhamun.
Spielberg girò Jurassic Park, tratto da un celeberrimo romanzo di Michael Crichton, mentre Yul Brinner fu il protagonista de Il mondo dei robot, scritto e diretto dal writer... che ve lo (ri)dico a fare?
Brinner non fu Tutankhamun in The Mummy, no, ne I dieci comandamenti di Cecil B. De Mille, bensì Ramesse, ma, a differenza del protagonista, all’epoca bambino di The Fabelmans, che vede Il più grande spettacolo del mondo con mamma e papà, quando per la prima volta assistetti alla visione di The Ten Commandments, programmata alla televisione, ancor prima della pubertà, compresi che mia nonna s’eccitava dinanzi a mr. Ben-Hur... Charlton Heston, mentre mio nonno tradì il comandamento Non desiderare la donna d’altri appena vide apparire, dinanzi ai suoi occhi, Anne Baxter/Nefertari. E, col pensiero, se la scopò. Io andai in bagno a fare la popò. Siamo sicuri... solo questa? C... zo, non è possibile. Avrò avuto solo 7 anni ma quella faraona me la sarei cucinata assieme ad altre patate al forno.
Io, i miei genitori e i miei nonni materni guardammo, tutti insieme appassionatamente, I dieci comandamenti dopo una luculliana cena a base di polli allo spiedo. Cioè tutte le persone che, non solo all’epoca, bensì a tutt’oggi, adorano i peplum. Io odio pure i “sandaloni” delle donne più belle, detesto le scarpe aperte con tanto di piedi femminili mostrati in bella vista e annessa puzza indigesta. Fra l’altro, rimanga fra noi, cari feticisti, Uma Thurman di Pulp Fiction & Kill Bill, le girls di Death Proof e Margaret Qualley di C’era una volta a... Hollywood hanno dei feet più disgustosi di Stuntman Mike/Kurt Russell.
Gabriel LaBelle è “Spielberg” in The Fabelmans. Ma non sarà mai un bell’uomo come Indiana Jones/Harrison Ford, non sarà mai un genio come John Ford e come Lynch che fa Ford. O forse sì. Che significato ha questa recensione? Forse nessuno. E che valore ha ancora il Cinema in un mondo che ha perduto la “purezza” dei nostri nonni? È possibile, oggigiorno, sognare ed essere romantici come Spielberg e, tutto sommato, rimanere fedeli a dei valori importanti come quel “Fantozzi” geniale di Paul Dano, in un mondo ove un trentenne medio non ha mai visto Sentieri selvaggi e L’uomo che uccise Liberty Valance? E che non vede un futuro davanti a sé ma solo i didietro di quelle su Instagram? Certo, poiché parafrasando Lynch/Ford: When the horizon’s at the bottom, it’s interesting. When the horizon’s at the top, it’s interesting. When the horizon’s in the middle, it’s boring as shit. Now, good luck to you. And get the fuck out of my office!
Se non capite questo, non potete capire questa recensione. Se non capi(s)te The Fabelmans non importa. È bello ma è sinceramente il film d’un director oramai senile, morto artisticamente parlando. Il quale, in tutta franchezza, non crede, or come ora, neppure alla magia di E.T. Spielberg è diventato, infatti, spiacevole doverlo ammettere, Dustin Hoffman di Hook - Capitan Uncino che vuole auto-convincersi di essere ancora capace di emozionarsi ed emozionarci come ai tempi de Lo squalo e d’Incontri ravvicinati del terzo tipo. Lo ringraz(iam)o per tutto ma sarebbe anche arrivato il momento di lasciare posto a un suo erede. Non posso essere io, mi chiamo Stefano e non Steven, non sono Stephen King e penso che, stasera, continuerò a recitare l’audiolibro a venire di questo: https://www.amazon.it/commissario-Fal%C3%B2-macabra-indagine-personale-ebook/dp/B0C948W5ZD
Ho quasi 44 anni, quindi non ho niente da perdere. Forse, neppure da guadagnarvi. Sì, e allora? La linea d’orizzonte può stare sotto o sopra, mai in mezzo. Ricordate.
di Stefano Falotico
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