Regia di Eric Rohmer vedi scheda film
Chi parla troppo reca danno a se stesso»
La versione borghese del proverbio che tradotto alla spicciola ed in modo diretto si può rendere così "se vuoi fare il biscotto nel latte, non parlare ma devi agire", l'unico che nel film alla fine non conclude nulla guardacaso è il surfista Pierre (Pascal Greggory), eppure pur messo molto bene essendo alto, con capelli biondi, ancora giovane e fisicamente in forma, per le sue troppe pippe mentali sull'amore concepito dall'uomo come sentimento in progressione nel tempo da dedicare all'amore della propria vita, alla fine resta bloccato nella prigione di parole da lui creata, mentre gli altri personaggi hanno visioni differenti del sentimento, cominciando dall'etnologo divorziato Henri (Feodor Atkine), che concepisce l'amore come emozione da vivere nel presente senza troppi progetti, invece Marion (Ariele Dombasle) giunta a 30 anni e appena divorziata, concepisce il sentimento come pura fiamma intensa ed infine la giovanissima Pauline (Amanda Langlet), di appena 15 anni, è ansiosa di provare una sbandata per qualche suo coetaneo e finalmente discernere tra una forza amicizia e l'amore vero e proprio.
Pauline alla Spiaggia (1983), non è la solita commedia dove si parla molto e si combina poi nulla, ma Rohmer nel suo terzo film del ciclo commmedie e proverbi, ci mostra parallelamente come il sentimento viene vissuto dagli adolescenti e dagli adulti, quest'ultimi prigionieri delle loro ipocrisie, bugie e tradimenti, che in fondo sono parte dell'amore, il quale è invece vissuto con trasporto e senza troppe sovrastrutture da Pauline insieme a Sylvain, giovane coetaneo conosciuto in spiaggia.
Pierre che parte con tutti i favori del pronostico, avendo tutte le caratteristiche richieste, alla distanza si esclissa sempre di più e pur provando maggior simpatia per lui, alla distanza viene offuscato nettamente da Henri, una persona più vecchia di lui, eppure capace di interessare Marion e portatore di una visione dell'amore all'insegna del vissuto presente e senza impegni futuri, non a caso lui ottiene tutto ciò che vuole perché non svela mai direttamente le proprie carte,
riuscendo così a essere indenne dai vari problemi. Sviluppata tramite una narrazione corale perfettamente tenuta insieme dalla regia volutamente teatrale di Rohmer e dalle luminosità cromatiche della Normandia risaltate dalla fotografia impeccabile di Nestor Almendros, assistiamo all'educazione sentimentale di Pauline, prima abile ascoltatrice delle visioni altrui ed infine matura e saggia filosofa capace di far proprio il proverbio alla base del film. Più erotico rispetto ai precedenti film grazie alle magnifiche forme della Domblase, che è una figa galattica, Rohmer comunque non scade mai in territori pruriginosi, nonostante una scena controversa al limite della pedofilia, quando mostra il corpo semi-nudo di Pauline coperto nei punti nevralgici dal lenzuolo, che finisce con l'attrarre il libertino Henri, portando il film su un ambito un po' troppo "pesante" e "disturbante", nonostante avvenga nulla, anche perché la pellicola fino a quel momento aveva un andamento da commedia disincantata, seppur sui generis. Pauline alla Spiaggia (1983), segna un Rohmer nella forma migliore, dopo i due precedenti due capitoli interlocutori, riuscendo nella classicità della storia a dare una quadra personale e originale tramite il suo stile sull'amore.
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