Regia di Jordan Peele vedi scheda film
Le derive attuali della società dello spettacolo
Dall’Incipit del film:
“And I will cast abominable filth upon thee (Getterò su di voi un’immondizia abominevole),
and make thee vile (vi renderò vili),
and will set thee as a spectacle” (e vi farò diventare uno spettacolo) .
– Libro di Naum, Capitolo 3, Versetto 6.
Al suo terzo lungometraggio come regista e sceneggiatore, l’acclamato Jordan Peele vira verso il genere della Fantascienza. Quella suggestiva, spettacolare, d’intrattenimento e d’autore messi insieme, intrisa di mistero, horror e riflessioni meta-cinematografiche. E molto altro oltre i confini del genere (e della realtà…), sempre ambiziosamente superati e contaminati.
“Nope” (un acronimo, che non sveliamo) è ancorato alla cultura Fantasy pop e Sci-Fi classica di tante famose opere televisive e cinematografiche del passato centrate sul mistero, ed è impiantato su un’idea di spettacolo godibile e pregno di tensione (soprattutto quella fuori campo) che coinvolga ai massimi livelli lo spettatore (qui rifacendosi a “Lo Squalo” o a "Jurassic Park" di Steven Spielberg, ma anche al suo “Incontri ravvicinati del Terzo Tipo” – senza eguagliarli sia inteso, nel tratteggiare pellicole a tematica UFO), il cui fascino o interesse derivi maggiormente dal gusto per la forte narrazione e dall’utilizzo misurato degli effetti speciali visivi.
Almeno sulla carta, perché poi la pellicola si rivela piuttosto lenta, stiracchiata verso il colpo di scena finale e poco originale, mentre in più punti sconfina nel Western e ricorda anche “Signs” di M. Night Shyamalan.
Se nel film “Get Out” il regista parlava della falsità, della doppiezza e del razzismo degli USA nei confronti degli afroamericani; e in “Us” di altri tipi di doppi, di rapporti di classe diseguali e del controllo sociale da parte dei governi; in questo “Nope”, Peele ragiona sul potere del cinema e delle immagini, sferra una dura critica verso la venale e cinica comunità dei mass media e verso l’attuale società capitalista, e attacca l’arrogante prepotenza dell’uomo nei riguardi degli animali, soprattutto se sfruttati per i propri ignobili fini (persino di mero spettacolo d’attrazione), ma senza il rispetto della loro natura e dei loro istinti pronti a manifestarsi e minacciare chi vi è attorno. Veri e propri atti di dominio da parte dell’uomo sulla Natura (e su ciò che non è terreno) che non tiene conto però che non tutto si può determinare, ammaestrare, addomesticare o controllare. Perché spesso fuori dalla sfera dell'umana comprensione.
E qui si ricollegano anche tutti gli altri aspetti tematici del film a cui ci addentra la citazione biblica dell’incipit e riassumibili nel comportamento umano/sociale (spesso improntato a violenza), e, soprattutto, in due filoni principali: lo sfruttamento economico di fatti, persone, animali, ma anche di traumi individuali, di incidenti e di tragedie, tutti asserviti alle leggi dello spettacolo (inteso come business prodotto da cinema, tv, radio, Internet e dai quali siamo sempre più dipendenti), e quindi la conseguenziale (e/o causale) funzione dell’atto di guardare (ciò che è attorno a noi, che è utile per comprendere ma allo stesso tempo che può divenire causa di gravi consguenze; verso ciò che è ignoto e che scatena la curiosità di scoprire; e in fin dei conti la pericolosità del guardare stesso che può arrivare a costringerci a scegliere di evitare di guardare ), ma anche a sua volta dell’altro atto, quello di essere guardati dagli altri – siamo tutti spettatori e attori al tempo stesso – e portati al centro dell’attenzione, fino al punto di diventare potenziali “oggetti” di un sistema morboso e capitalista, dove ogni evento è anche opportunità di guadagno, profitto o riscatto socio-esistenziale.
Nulla esiste per davvero nella mentalità “malata” della nostra società se non viene ripreso, fotografato o postato sui social (in questa pellicola esplicata chiaramente dal desiderio che può avere un cineamatore qualsiasi di essere tra i primi a testimoniare eventi straordinari e inspiegabili). Urge dunque un'etica dello sguardo.
Cosa allora bisogna davvero inquadrare e cosa invece lasciare fuori campo?
La natura insidiosa dell’attenzione, la guerra di sguardi, lo spettacolo, l’ignoto; ma soprattutto la natura umana, più “mostruosa” di qualsiasi ente esistente (anche extraterrestre), e capace di renderci veramente alieni (e/o alienati) in mezzo alle cose, tra di noi e in noi stessi…
Quest'ultimo aspetto nel film è rinvenibile sia nel viaggio nella cultura afroamericana (dallo sconosciuto antenato dei protagonisti, il fantino al servizio del dispositivo zooprassinoscopio e del precursore del cinema stesso Eadweard Muybridge, fino al genere Western spesso precluso agli attori neri; dallo spiazzante episodio della scimmia Gordy e del bambino prodigio delle sit-com divenuto un ambiguo imprenditore del suo trauma, alle invisibili maestranze afroamericane che hanno fatto la storia di Hollywood elette a protagoniste di blockbuster), sia nella riflessione sul concetto e sui limiti di consapevolezza, di responsabilità personale, nonché di capacità di comprensione e di relazione con la realtà (a sua volta filtrata o deformata o tradita dalle immagini che sono via via prodotte), sia nella imperitura necessità di catturare e farsi catturare dalle immagini, al solo fine/illusione (?) di riuscire a possederle fino in fondo, entrando in quella zona che suddivide la realtà dalla sua rappresentazione.
Una rappresentazione del reale di cui tutti siamo gli inquieti prigionieri, perché immersi in una realtà di cui non abbiamo più i mezzi per comprenderla veramente.
Tutte queste tematiche (non sempre comunque ben articolate tra loro sviscerate) si disgregano però in una trama che non è immediata, ed è svolta con superficialità e poca originalità.
Dal punto di vista formale e tecnico, l’opera è ineccepibile. Ottima l’ambientazione scenografica e la fotografia (di Hoyte van Hoyteman, il direttore della fotografia dei film di Nolan) che, grazie all’utilizzo di pellicola Kodak in 65mm (a risoluzione di grande formato per sistema di proiezione IMAX ), ha donato un’appropriata atmosfera di inquietudine alla messinscena.
Efficace anche il sound design per gli eventi paranormali e la notevole colonna sonora.
Il cast è convincente, e lo stile di regia sa esaltare quasi sempre in modo accattivante tutto lo spettacolare apparato visivo e sonoro (vedi le riprese aeree dall’alto).
Quel che invece non convince pienamente e che rende diseguale e forse poco riuscito questo film, è come detto proprio la sceneggiatura. Uno script abbastanza piatto, debole, con poche sorprese e scarsi snodi narrativi (persino nel frettoloso finale).
Le buone idee si perdono in una storia che emoziona poco (a parte l’elaborazione del lutto dei due fratelli, in sé forte e commovente) e che, nel complesso, risulta alla fine superficiale e senza i necessari approfondimenti.
Ciò nonostante, “Nope” è una pellicola interessante e inusuale, molto più di un semplice blockbuster estivo, e, malgrado i suoi limiti, merita la visione sul grande schermo, e l’individuazione dei suoi vari piani di lettura.
VOTO: 6 ½ / 7-
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