Regia di Martin Dolman (Sergio Martino) vedi scheda film
Filmetto avventuroso-mafioso girato e ambientato tra Kenya e Zimbabwe, tra gli ultimi tentativi anche per Sergio Martino(uscito in qualche cinema a marzo 1990) nei generi all'agonia degli stessi, con scenografie di Antonello Geleng e fotografia di Sergio Salvati-che praticamente non si può giudicare nel riversamento da vhs del dvd Flamingo-, anche loro due nomi e collaboratori importanti per il cinema di genere, per primo con Lucio Fulci.
L'apporto produttivo finanziario più importante è- come accadeva sovente in quegli ultimi anni per questo tipo di prodotti-, di ReteItalia, per questo è il suo taglio prettamente da sceneggiato televisivo, con qualche scena violenta in più da cinema, e solo un bel lato B mostrato praticamente al terzo minuto, dalla Brigliadori.
Facilitato dagli accordi e conoscenze africane in loco della Daunia dei f.lli Martino che naturalmente co-produce, avrebbe un cast pure abbastanza interessante, soprattutto l'habituè e ben doppiato Daniel Greene in versione barbuto delle montagne, superkiller di mafia(però pure elegantone in completo acciaio alla John Gotti, e con stilosissima mascherina nera anni '80 Oakley), e lo scomparso Bruno Corazzari "consigliori", lui con la sua inconfondibile voce.
Assurdi e inspiegabili certi repentini cambi di sceneggiatura in corsa, come la improvvisa morte della Brigliadori/Giulia, che pareva essere la donna della vita del protagonista in fuga Tony Di Palma/Richard Hatch, e destinata come coppia a salvarsi.
Se l'intento era di fare un finale negativo e non consolatoro, decisamente mal realizzato, anche perché ridicolmente privo di ogni seguito realmente drammatico. Impagabile scena breve newyorkese con Pistilli, James Mitchum e Alessandro Dell'acqua, in evidente interno in Italia, ma passaggio precedente sul Ponte di Verrazzano, e nel quartiere adiacente di Manhattan dei docks olandesi di migliaia di film e telefilm("C'era una volta in America" compreso), anche italiani, tanto per rendere chiaro che siamo per pochi attimi realmente a New York.
Situazioni e dialoghi però senza nerbo, totalmente improbabili come nella finale parte di nuovo a Roma, una volta si sarebbe detto da romanzetto d'appendice per donne. Brutta davvero, colonna sonora "africana", e curiosa partecipazione in un ruolo più corposo delle sue solite parti nel cinema di genere italiano per anni, di John Armstead, l'irlandese "sifu" marzialista der cinema "de Roma", per eccellenza.
David Brandon sottoutilizzato e che muore da scemo.
Da certi snodi narrativi senza senso e frettolosi, forse anche di questo titolo esiste una versione più lunga da essere trasmessa in due parti, sulle reti Fininvest.
Sarebbe più opportuno mettere la locandina cinema italiana del tempo(1990), non disprezzabile e ancora con grafiche ben più belle e figlie del loro tempo, che quella tedesca della Ufa che sembra più da edizione per i videonoleggi.
John Nada
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