Regia di James Cameron vedi scheda film
Cameron è capace di conferire un'anima alla sua megalomania tecnologica e produttiva e stavolta dà prova di come fare un utilizzo non solo spettacolare ma anche artistico nel senso pieno della parola delle tecniche più avanzate della computer grafica nel creare mondi paralleli di sfrenata fantasia e di dettagliato realismo
Dopo tredici anni dal successo del capostipite, maggior incasso in sala di tutti i tempi, ritorna l'universo di Avatar con questo secondo capitolo La Via dell'Acqua, che avvia una serie di sequel già filmati o in lavorazione che vedrà nei prossimi anni uscire a cadenza biennale le parti 3, 4 e 5 e progetti addirittura per i numeri 6 e 7.
James Cameron, autore megalomane dai budget faraonici e dagli incassi assicurati, nemmeno stavolta si contiene, anzi alza la posta rispetto al primo capitolo che aveva segnato la rinascita del cinema in 3D. Rinascita che si era poi rivelata un fuoco di paglia, limitata a quegli anni intorno al 2010 quando uscì una serie di titoli da vedere con gli occhialini in tridimensionale, ma poi si è sgonfiata nel corso del decennio. Cameron tuttavia non demorde e anche in questa occasione realizza un'opera pensata per la visione tridimensionale, che sola permette di godere appieno di quell'esperienza immersiva nell'universo di Pandora che costituisce la colonna portante del film.
La trama è in fin dei conti molto semplice e si attiene ai topoi classici di questo genere di colossal avventurosi fantascientifici, utilizzando personaggi archetipici e riprendendo la struttura narrativa dell'originale per riproporre in maniera talvolta manichea le sue tematiche di facile impatto, in primis quella dell'ecologia e del rispetto degli ecosistemi in opposizione alla cupidigia devastatrice, poi quella della legittima resistenza delle popolazioni native contro le conquiste coloniali, e inserendoci stavolta nuovi sermoni sull'unità della famiglia e sull'integrazione dei rifugiati, incappando in qualche scivolone retorico.
Pertanto all'inizio, scontando anche un ricordo poco vivido degli sviluppi della trama del primo film che non avevo più rivisto dall'uscita in sala, non ero a dire il vero completamente coinvolto dalla vicenda e restavo un po' perplesso di fronte alle ricomposizioni di antagonisti umani defunti nel primo capitolo in avatar na'vi, inviati su Pandora in missione per preparare la colonizzazione terrestre eliminando l'ex marine Jake Sully diventato leader degli indigeni pandorini, creandosi nel frattempo una famiglia con la principessa Neytiri e i loro quattro figli di cui una adottiva.
Ma passata la prima mezz'ora il film mi ha catturato facendomi dimenticare alcune sue debolezze in un crescendo di emozione suscitata soprattutto dalla potenza estetica e dalla ricchezza sconfinata della sua iconografia. La parte più strabiliante arriva quando ci immerge nelle acque cristalline dell'arcipelago dei Metkayina, dove Jake e la sua famiglia cercano rifugio presso una popolazione di na'vi di razza anfibia che ricorda i maori neozelandesi.
Sappiamo bene quanto l'ambientazione marina sia cara e congeniale al regista di Titanic e The Abyss e Alieni degli Abissi, ed è proprio nelle luminose profondità di questo ecosistema acquatico che Cameron si scatena nella genesi di un mondo fantastico animato da strabilianti effetti e colori vivissimi che lasciano esterrefatti, riempiendo di bellezza ogni inquadratura e inventando una ricchissima biodiversità di fauna e flora sottomarina, tra meduse fluorescenti, anemoni suadenti, dragoni subacquei cavalcati dai locali e soprattutto gli immensi cetacei tulkun, specie intelligentissima che vive in una sorta di simbiosi con i metkayina. A differenza di altri registi di blockbuster, Cameron è capace di conferire un'anima alla sua megalomania tecnologica e produttiva e stavolta dà prova di come fare un utilizzo non solo spettacolare ma anche artistico nel senso pieno della parola delle tecniche più avanzate della computer grafica nel creare mondi paralleli di sfrenata fantasia e di dettagliato realismo fin nel più minuscolo particolare.
Ciò che rende ciclopica l'impresa di Cameron è il suo arrivare ai limiti dell'innovazione tecnologica e spingerla oltre per portare sullo schermo la sua visione con ossessivo perfezionismo: qui ha lavorato con una nuova macchina da presa chiamata Venice Camera progettata dalla Sony su richiesta dello stesso Cameron per ottenere un'impeccabile interazione tra live-action e immagini generate al computer , tra il cast umano (il ragazzino Spider e qualche altro personaggio di contorno) e quello pandorizzato verde-blu, con gli attori (Sam Worthington, Zoey Saldana, Kate Winslet, Sigourney Weaver che diventa una ragazzina) irriconoscibili nei corpi dei na'vi che hanno interpretato grazie alla tecnica della performance capture, che qui per la prima volta è stata applicata alle riprese subacquee, in cui gli attori si sono immersi veramente nell'acqua in apnea per girare le loro scene poi inserite in post-produzione nell'universo creato in CGI.
Nonostante una durata che supera la tre ore, non c'è comunque spazio per la noia in una narrazione che, per quanto lineare, diventa sempre più serrata verso il climax, riuscendo a sfruttare al meglio l'importante minutaggio per dare spazio, oltre alla trama principale della caccia ai Sully, sia alla scoperta del nuovo mondo sia allo sviluppo dei personaggi e delle loro reciproche interazioni, oltre che ai messaggi sociali che vuole veicolare.
Forte e chiaro risuona l'appello ecologico, facendoci schierare con una sequenza feroce dalla parte dei tulkun cacciati e sterminati da balenieri senza scrupoli per impadronirsi della preziosa sostanza anti-invecchiamento che secernono i loro cervelli. Ma il film vuole lanciare un ulteriore messaggio morale mettendo in scena le difficoltà di integrazione di tutti i migranti in una nuova comunità, ove affrontano forme di pregiudizio e di bullismo e la fatica dell'inserimento in un contesto dove per non sentirsi inutili servono abilità mai sviluppate e conoscenze ancora da acquisire. Se l'approfondimento non è il suo punto forte e qualche volta spinge sul pedale della retorica, la sceneggiatura riesce comunque a suscitare empatia verso i suoi personaggi, facendoci palpitare per la sorte di commoventi balene e facendoci immedesimare sia nelle scelte drammatiche a cui sono costretti i genitori, sia nelle turbolenze adolescenziali dei figli. Ci si sofferma in particolare sulle dinamiche che coinvolgono, in famiglia e nel gruppo dei pari, i due figli maschi adolescenti dei Sully , il fratello maggiore responsabile cocco-di-papà e il secondogenito ribelle e scavezzacollo che vive una storia di formazione un po' da teen drama che riprende dinamiche narrative già viste, con la certezza che anche stavolta faranno breccia nel cuore del pubblico.
Il tempo speso a seguire le tribolazioni anche intime della famiglia protagonista paga comunque emozionalmente quando i Sully rischiano tutto nella travolgente battaglia finale in alto mare, un prolungato climax di circa un'ora di lotta senza quartiere che coinvolge umani, alieni e cetacei e in cui Cameron sfodera pathos drammatico e spettacolarità action da lasciare a bocca aperta, evitando le baracconate che sovente rovinano questo genere di pellicole e ricordandoci invece di essere uno dei titani del cinema d'azione degli ultimi decenni.
Qui direi che Cameron autocita Titanic nelle scene della nave baleniera che affonda, coi corridoi che si riempono d'acqua fino al soffitto (d'altronde nel cast, seppur non in queste scene, c'è pure Kate Winslet, irriconoscibilmente tramutata in una matrona metkayina in stato interessante).
Con il secondo capitolo di Avatar la visionarietà innovatrice di Cameron ha vinto la sua scommessa , dimostrando di aver saputo creare una saga maestosa, spostando ancora una volta più in là il confine del world-building cinematografico e lanciando una sfida, probabilmente a sé stesso e alla propria ambizione sfrenata, a superarne la grandiosità.
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