Regia di James Cameron vedi scheda film
Un NON film, cioè un’opera ibrida che riesce a serpeggiare tra messaggi stereotipati, ma ugualmente avvincenti, grazie ad un impianto effettistico altamente immersivo se visto in sale tecnologicamente attrezzate che ne garantiscano appunto l’immersione.
A detta di molti, c’è una notevole differenza tra Avatar 2 visto in 2D, oppure in un 3D che possiamo definire “comune”, cioè in sale poco attrezzate dove vengono solamente dati gli occhialini Real3D, e per ultimo l’esperienza in sale tecnologicamente avanzate, comprese le famose IMAX.
Questa premessa per dire che Avatar 2, più del predecessore, è un film d’azione che si basa sullo spettacolo offerto dalla creazione digitale, di un universo ricco di dettagli amplificato e godibile a pieno nelle sale di recente generazione.
James Cameron ha dimostrato in passato di essere maestro dei film d’azione, anche se, per fare un esempio, avendo rivisto recentemente Terminator 2, riconosco che lo stupore va naturalmente scemando negli anni rivelando una storia sorretta da una sceneggiatura altalenante e spesso goffa.
Con il seguito di Avatar siamo lontani, quindi, dal miracoloso equilibrio degli inizi, cioè il primo Terminator e Aliens (scontro finale), film che reputo quasi dei classici per come resistono al passare dei decenni.
La filmografia di Cameron ha successivamente mostrato come gli effetti spettacolari, e spesso innovativi, pensiamo al morphing di The Abyss successivamente perfezionato in Terminator 2, o alla scena dell’affondamento del Titanic, sono comunque totalmente legati alla storia ed ai personaggi.
Nei due Avatar, ma soprattutto in quest’ultimo, il regista rompe le regole del gioco, e aggiunge l’unico elemento che costringe in un certo modo lo spettatore alla visione in sala. L’effetto 3D, non aggiunto squallidamente come è stato fatto in tanti film post Avatar, ma pensato già al principio grazie a riprese di camere sofisticate e costosissime, senza contare una lunga post produzione allo stato dell’arte, consentono di ottenere una vera e propria giostra di colori.
Un 3D che ovviamente è guidato anche dalla necessità dell'industria mainstream di riportare il pubblico nelle sale.
Ma cos’è Avatar senza il 3D? Cosa resta del film? Sicuramente la storia, a parte alcuni momenti, non è il punto forte visto che si tratta dell’ennesimo scontro, questa volta di una vendetta, tra indigeni e colonizzatori, aggiungendo tematiche rese con una deriva pericolosamente Disneyana, storie di diversità ed accettazione fin troppo abusate.
L’unico elemento che per me splende nel film, e che si nota soprattutto nella seconda parte, è la rabbia e lo stomaco che finalmente vengono fuori da Cameron, ed è l’amore viscerale per il mare, per gli abissi, il tema ambientalistico, di protezione delle specie marine, il tutto con scene d'azione davvero spettacolari quanto efficaci. Scene che volutamente ricordano e citano a tratti i film degli esordi (penso alla bambina inghiottita nelle viscere della nave che ricorda Newt soccorsa da Ripley), o il famoso esoscheletro, il "Power Loader" reso famoso sempre da Ripley, e che adesso trova una naturale evoluzione.
Altro elemento affascinante e spirituale che spicca nella seconda parte, e che secondo me sarà valorizzato nel prossimo capitolo, è rappresentato dal personaggio di Kiri, interpretato da Sigourney Weaver e reso adolescente tramite il digitale, che rappresenta un essere misterioso con la capacità di controllare la natura. Un accenno da “anime giapponese” che sicuramente non guasta e rende la seconda parte di Avatar una riuscita commistione di generi, fantascientifico d’azione, fantasy ed un pizzico di Melville.
Peccato per la costante presenza, soprattutto nella prima parte, di un buonismo ed ingenuità tutte Disneyane, di una volontà di rendere Avatar un film per famiglie (di oggi) invece di percorrere con coraggio strade più audaci.
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