Regia di James Cameron vedi scheda film
Purtroppo, tocca constatare un terribile fatto: James nun ce l’ha proprio fatta, a rialzare l’asticella. Peccato. 13 anni di edotte ponderazioni, di metafisiche considerazioni, di pregnanti elucubrazioni per pervenire alla conclusione di sempre… che come al solito ad Hollywood squadra che vince non si cambia e si rifà sempre la stessa roba ma più in grande (same but bigger).
Avatar: La via dell’acqua – al pari di altri blockbuster “d’auteur” come Dune di Villeneuve – è cinema sostanzialmente inerte, manchevole di chissà che profondità (e si potrebbe anche soprassedere, essendo puro intrattenimento) ma pure manchevole di chissà che capacità di coinvolgimento e di costruire effettiva emozione, di quelle capaci di durare nel tempo, per intendersi. In questo caso, invece, ci si comincia a dimenticare dell’opera già a brevissimo tempo dalla visione, a rimarcarne la fondamentale vacuità ed evanescenza nell’immaginario.
Bisogna essere molto chiari, al riguardo: non si tratta meramente di una questione di “banalità e linearità della trama”, affatto, quanto di una questione di assenza di pathos. Mad Max: Fury Road, per dire, quello sì che è un eccellente esempio di cinema d’azione semplice e lineare eppure in grado di far scorrere l’adrenalina, accelerare i battiti del cuore a mille, emozionare ad ogni pie’ sospinto. A questo giro Cameron la canna completamente: persino il primo Avatar – rivisto di recente – risulta, pur tra tutti i limiti del caso, più appassionante di questo seguito, qualcuno sostiene per via dell’“effetto novità”. Bah, sarà.
Ad ogni modo, per contrasto qui non c’è epica, non c’è reale approfondimento dei caratteri (per la verità tallone d’Achille già del predecessore), non c’è quel qualcosa “di più” che permetta anche all’apoteosi del sincretismo e della rielaborazione stile Star Wars di imprimersi a fuoco nella memoria. E, spiace, ma non basta la fantasmagoria digitale a sopperire a questa tragica assenza.
Non basta la nuova diavoleria tecnologica (che poi si trascorre un'enorme quantità di tempo sott’acqua proprio per dimostrare quanto sia stata migliorata la tecnica della performance capture, mai prima utilizzata in ambienti acquatici), non basta la CGI pulita, perfetta, dettagliatissima a ingenerare senso e commozione (peraltro tale tripudio digitalizzato entra in irrimediabile nonché comico attrito con la pretesa ecologista “alé alé si torni alla natura”).
Com’è stato notato anche da altri, questo film pone sottotraccia fino quasi a farla scomparire persino la componente politica del primo – il tentativo di critica del capitalismo vorace e dell’estrattivismo senza fine e privo di scrupoli (a proposito, e l’“unobtanium”?), la lotta antimperialista di liberazione – per mantenere soltanto una generale moralina di riporto circa l’avidità dell’uomo, un blando animalismo intergalattico e, in special modo, un’asfissiante pantomima sulla famiglia di qua e di là che deve stare sempre unita e che è l’unica cosa che conta visto che per salvarla si è disposti pure ad abbandonare al proprio destino gli amici.
In sostanza, si restringe il fattore politico (memore anche del western alternativo [vedasi la fulminea sequenza dell’attacco al treno], da Soldato blu in discendere sino a Balla coi lupi) per aprire invece i boccaporti al fattore melensaggine sfrenata, probabilmente più nelle corde anche della Disney, che nel frattempo “s’è accattata” la fu 20th Century Fox. Perché non è il caso, evidentemente, di “perturbare” troppo le menti degli spettatori magari introducendo – pensa un po’ – finanche degli spunti di riflessione oltre la mera blandizie digitale epidermica da parco dei divertimenti. Nah, meglio evitare: non giova al business – e con un costo simile il business è chiaramente l’unica cosa che importa e preme – meglio riparare sul sentimentalismo zuccheroso alla stregua della prima intollerabile ora e mezza di Titanic: è più sicuro.
Il punto è da una parte proteggere la family (Fast and Furious style), dall’altra vendicarsi. A questo proposito, l’introduzione con il ritorno in scena di Quaritch fa cascare le braccia (e pure qualcos’altro), in quanto da quel momento si prevede tutto SPOILER: fino all’immancabile scazzottata finale con tanto di sequenza d’azione da auto-scopiazzatura di Titanic. Si presagisce da un miglio pure che il terribile colonnello non andrà incontro ad alcun concreto approfondimento e difatti è ciò che puntualmente accade: eventuali dubbi, stratificazioni (a partire dal rapporto col figlio) sono forse rimandati al futuro, mentre nel presente rimane la solita sagometta di cartone ch’è sempre stato FINE SPOILER.
Sì, perché sarà anche tridimensionale il film, ma i personaggi rimangono invece monodimensionali, tanto quelli passati quanto quelli nuovi. Anzi, forse proprio i figli risultano ancor più eterei dei genitori: genitori che vengono messi da parte per concentrarsi appunto sui pargoli, col risultato che non vengono approfonditi né gli uni né gli altri (tant’è vero che la supposta scena strappalacrime sul finale lascia del tutto indifferenti, visto che non frega assolutamente nulla di questi personaggi-marionetta senz’anima).
E tre ore e passa di “contemplazione e azione” per un nulla di fatto, giusto per giungere alla incredibile, genialissima, inusitata conclusione che “aho, belli, è meglio darse ‘na svegliata e combattere”. “E grazie al c----”, mormora tra sé e sé lo spettatore estasiato. Che si rende conto d’aver appena assistito al più costoso prologo della storia del cinema. E gli sviluppi più interessanti, ammesso che esistano? Riservati al futuro, ovvio. Daje, James, grandissimo! Aspetteremo trepidanti!
Per il resto, sì, è vero, ribadiamolo: la componente visiva è ottima (ma Cameron dovrebbe sapere che questo non è sufficiente e comunque a nessun altro sul pianeta Terra è concesso di metterci altrettanto tempo per perfezionare maniacalmente gli effetti digitali, quindi sarebbe stato proprio il colmo se gli stessi non si fossero rivelati riuscitissimi); gli attori per quel che serve se la cavano – seppur sommersi dalla grafica computerizzata -; mentre il montaggio lì per lì sembra non irritare ma ad una seconda visione si rischia seriamente la stanchezza: qualche taglio avrebbe giovato.
Nota di “colore”: è abbastanza esilarante il modo in cui si esprimono i giovincelli della pellicola, che continuano a dire “bro” pure in italiano. A parte che qualcuno forse dovrebbe render noto ai provetti adattatori dei dialoghi che nella nostra lingua semmai sarebbe più corretto l’intercalare “fra”, ma poi il fatto che lo dicano ogni due per tre fa veramente ridere e il ridicolo è palesemente involontario. Questo giusto per rimarcare quanta poca cura sia stata posta nella stesura di trama, sceneggiatura, dialoghi, a fronte della perizia pignola nella regia e nella tecnica degli effetti digitali.
Avatar 2: un mix di indigenismo alieno, tradizionalismo (perfino la perfida medicina moderna, d’altronde, non può nulla contro l’intruglio della maga di turno…), elogio del primitivismo, del passatismo e del contatto rinvigorente con la natura per il tramite della tecnologia iper-moderna. Avatar 2: il regno del superfluo e della contraddizione, la vetta del tedioso, il non plus ultra della mancanza totale di epica, sentimento, profondità, emozione. Avatar: La via dell’acqua o La via della liquefazione? Ai posteri l’ardua sentenza.
P.S. / AGGIORNAMENTO POST RE-VISIONE (APRILE 2023):
Mi trovo costretto ad abbassare la valutazione di una mezza stelletta, in quanto rivisto su piccolo schermo il film ha dimostrato la fondatezza sia del sospetto che le oltre 3 ore di durata dopo la prima volta avrebbero seriamente stancato sia dell’impressione di mancanza assoluta di sentimento, pathos, profondità, logica. Per non parlare del grado infimo dei dialoghi, delle parentesi familiari (vedasi il finale da soap opera) e dei tentativi di costruire significati profondi, panteistici, primitivisti, animalisti e via discorrendo.
Inoltre, gli effetti digitali perdono di magnificenza e a risaltare è ancor di più la scempiaggine New Age del presunto messaggio generale, il cui obiettivo sembra quello di farci credere che si viva bene (davvero bene) immersi nella natura senza alcuna comodità moderna (che però torna utile guarda caso quando si devono combattere i terribilissimi umani, eppure risulta inefficace quando si tratta di curare una poveretta affetta da crisi epilettiche perché, va da sé, crisi epilettiche non sono affatto in quanto lei in realtà percepisce sin nel profondo la natura il cosmo e tutto quanto e bla bla bla), in sostanza che la natura vada accettata per quello che è e non per quanto possibile controllata e rispettata ma senza viverci dentro (e vorrei vedere se Cameron & Co., che ci fanno 'sti generi di pistolotti molto ma molto edotti, si troverrebbero a loro agio a vivere come all'epoca delle caverne distanti dai loro gingilli tecnologici, dalle loro lussuose ville milionarie, dalle loro flotte di yacht, sottomarini ecc.).
Lasciamo perdere come detto già più sopra che tutto questo risulta, extra-diegeticamente, in palese attrito con la dimostrazione di “prodezza” digitale del film e concentriamoci piuttosto sul sovrappiù di familismo zuccheroso che fa gonfiare le gonadi; sull’imbecillità dei personaggi e l’assurdità del susseguirsi di scenette raffazzonate in cui quasi tutto sempre accade perché, “my god”, il genio del fratello minore combina qualche guaio; sui buchi narrativi palesi (ad esempio, perché mai fuggire dovrebbe essere una soluzione? Quindi, abbandoni il tuo “sacro popolo della foresta” che non si capisce bene perché quei perfidi umani dovrebbero indi lasciar stare e non cercare comunque di sottomettere o sterminare… e difatti ecco che dopo 3 ore di trama sottozero a questa inusitata scoperta c’arriva pure il protagonista [campione del mondo!]).
Insomma, un vero e proprio pastrocchio che sicuramente – al pari del precedessore – non lascerà alcuna traccia di sé nell’immaginario collettivo nei decenni a venire.
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