Regia di James Cameron vedi scheda film
Benvenuti nel parco dei divertimenti audiovisivi - a elevata vocazione tematica – pensato, allestito e sviluppato da James Cameron.
Ancora una volta, il regista/sceneggiatore/produttore/montatore canadese lancia una sfida al mondo, non solo cinematografico, che sostanzialmente vince su tutta la linea (in attesa di verificare il tutt’altro che secondario tornaconto economico).
Entrando nello specifico, sfata nuovamente il tabù legato ai sequel, che di rado offrono soddisfazioni, mentre nel suo caso si contano solo successi, che siano scaturiti da sue creature originali (Terminator ---> Terminator 2 – Il giorno del giudizio) o meno (Alien ---> Aliens. Scontro finale), il risultato non cambia.
Inoltre, con la sua durata extra long (viaggiamo intorno ai 190 minuti effettivi), una gestazione lunghissima e svariati proseguimenti in rampa di lancio, affronta il concetto stesso di serialità, tentando con portentosa convinzione di riportare il pubblico nelle oramai deserte sale cinematografiche (come da lui stesso asserito, se uno spettatore medio riesce a sorbirsi una serie completa in una serata, non dovrebbe spazientirsi dinnanzi a un film di cotanto minutaggio).
Infine, rispolvera il 3D, da anni dato per morto e sepolto, donandogli la lucentezza degli anni migliori, grazie a una tecnica affinata mentre tutti i suoi competitor avevano abbandonato la nave senza troppi rimorsi.
Insomma, al netto di un visibile dislivello tra forma e contenuto, per certi versi inevitabile in virtù dell’eccellenza assoluta dell’impianto visivo, James Cameron si appresta a lasciare un ulteriore segno nella Storia del cinema, con una nuova impresa (vedi Titantic), almeno nel segmento destinato all’intrattenimento.
Durante alcuni anni di sostanziale tranquillità sul pianeta Pandora, Jake Sully (Sam Worthington – Scontro tra titani, Terminator salvation) e Neytiri (Zoe Saldana – Guardiani della galassia, Star Trek) hanno messo in piedi una famiglia numerosa, condividendo la crescita dei figli all’interno della loro comunità.
Quando gli umani sferrano un nuovo attacco, capitanati dal belligerante colonnello Miles Quaritch (Stephen Lang – Man in the dark, Macchine mortali), per tutelare i loro simili, decidono di nascondersi, di migrare altrove.
Dopo un’accoglienza reticente, trovano riparo presso un villaggio acquatico guidato da Tonowari (Cliff Curtis – Fear the walking dead, Risorto) e la sua compagna Ronal (Kate Winslet – Mildred Pierce, Se mi lasci ti cancello).
Nonostante tutti gli accorgimenti adottati, il pericolo busserà alla loro porta e lo scontro diverrà inevitabile.
Trascorsi tredici anni da Avatar, James Cameron ha partorito il suo tanto atteso sequel, forte di un budget astronomico, quantificato in circa 400 milioni di dollari, dimostrando di conoscere a menadito, indubbiamente meglio di qualunque altro collega, la formula del successo.
Dunque stabilisce un’autoritaria tabella di marcia e mette a terra, ma anche in cielo e soprattutto in acqua (elemento che diviene dominante, tanto caro al suo autore dai tempi di The abyss), una pregevole combinazione tra avventura, fantascienza e azione, senza trascurare rilievi drammatici.
Prima di tutto, è un’esperienza visiva senza precedenti, un film tirato a lucido nel quale ogni elemento è studiato e calibrato per creare scenari armonici e fluidi, con un coefficiente di immersività che lascia a bocca aperta. In pratica, delinea il regno della natura, così come le differenti culture che lo abitano, con una precisione maniacale, al punto che i dettagli creano – volenti o nolenti – vere e proprie distrazioni sensoriali.
Un fattore che pervade il nucleo narrativo, in fin dei conti sorreggendolo. A tutti gli effetti, la mole di input può contare su parecchi parametri emotivi che dialogano apertamente con il pubblico, con la nostra società.
Ciò avviene predisponendo e adoperando più layer, suddivisi tra famiglia, comunità, plotoni armati, popoli e specie viventi, con vari gradi di separazione e congiunzione, tra vicissitudini relazionali e affettive, l’istinto vendicativo che si scontra con quello deputato alla protezione, i turbamenti giovanili che sbattono contro legami inscindibili.
Di certo, il panorama dello storytelling non può in alcun modo stare al passo dell’immagine, le eccellenze indiscutibili dell’immaginario riprodotto sono inevitabilmente superiori ai riporti convenzionali del racconto, per quanto il canale di comunicazione instaurato sia significativo e, di conseguenza, efficace, volutamente nitido, in grado di farsi comprendere anche dai sassi e di trasportare lo spettatore in un mondo viv(id)o, credibile e tangibile, esente da qualsiasi sorta di fraintendimento in tutte le sue sfaccettature.
In conclusione, Avatar: La via dell’acqua è un kolossal ambizioso che risponde appieno alle spasmodiche attese. Gode della semina del suo illustre predecessore e fa risplendere il suo grandioso potenziale tecnico, risultando parzialmente penalizzato dalla sua prospettiva che guarda al medio e lungo termine, già pronto ad affrontare nuovi banchi di prova (un po’ come accadde per La compagnia dell’anello).
Tra nuove attrazioni, che sbaragliano la concorrenza, e cavalli di battaglia, che garantiscono una cassa di risonanza multimediale, specifiche dettagliate e nozioni universali, discriminazioni e aperture al prossimo, oasi di felicità e campi di battaglia, ecosistemi minacciati e difese immunitarie che oltrepassano ogni barriera, istanze ecologiste (la scena di bracconaggio è umanamente devastante) e le ripercussioni scatenate da un colonialismo selvaggio.
Stentoreo e gratificante, magnificente nella forma e consapevole delle proprie responsabilità.
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