Regia di Ivana di Biase, Paolo Ruffini vedi scheda film
Nelle intenzioni dichiarate in testa al film, PedutaMente avrebbe dovuto essere un film sull'Alzheimer. Il tema è l'unico motivo che potrebbe spingere una persona con tutti i venerdì in ordine a vedere un qualsiasi prodotto di un abominio vivente come Paolo Ruffini, fino a ieri il ragazzino dispettoso e perennemente sopra le righe, alfiere orgoglioso del politicamente scorretto e autore di opere risibili come Fuga di cervelli (il suo dalla scatola cranica?), Tutto molto bello e Super Vacanze di Natale. E invece, puntualissima, arriva la conferma: pur nel suo patetico tentativo di girare un doc su un argomento così straziante, Ruffini non si smentisce. Siamo infatti davanti a un'opera che si colloca sullo stesso solco della tv del dolore, che propone un'ostentata pornografia dei sentimenti come una Barbara D'Urso o un'Alda D'Eusanio qualsiasi. Girato a quattro mani con Ivana De Biase, il film del saccente comico toscano è stato realizzato girando in lungo e in largo lungo lo stivale, raccogliendo casi di persone diverse per genere ed età. Peccato che, nella sua rozzezza, il suo tentativo di "ricerca" vada a inciampare già al primo passo, quello che dovrebbe distinguere un malato di Alzheimer da uno con demenza senile, o da uno con trisomia 21, o da un semplice anziano (il padre del regista), stanco della vita. Nel documentario, tutto ha il sapore caramelloso e fasullo dei buoni sentimenti dispensati un tanto al chilo con frasi di accompagnamento, in voce over, da Baci Perugina. Si salva soltanto il titolo, che nel gioco di parole tra l'avverbio, da una parte, e il combo aggettivo + sostantivo, dall'altra, rimanda all'unica cura (per ora) possibile: quella di dispensare amore ai propri cari che si trovano in condizioni di perdita delle capacità cognitive.
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