Regia di Guillermo Del Toro, Mark Gustafson vedi scheda film
Una riuscita rivisitazione in chiave più realistica e dark della favola del celebre burattino di legno
“Pinocchio” è il dodicesimo lungometraggio per il cinema di Guillermo del Toro, un film d’animazione in stop-motion, che il regista premio Oscar per “La forma dell’acqua” ha diretto assieme a Mark Gustafson e sceneggiato con Patrick McHale.
La pellicola è una delle più riuscite nella filmografia del regista messicano, e sa immergere lo spettatore in atmosfere fiabesche innervate da una forte dose di componente “realistica” dettata dalla Storia e dalle influenze che i suoi periodi più difficili hanno avuto nelle esistenze e nelle condizioni sociali degli uomini. Nella fattispecie di quest’opera veniamo catapultati nel tenebroso contesto sociale/storico/politico dell’Italia nell’epoca del regime fascista tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, e dunque, a livello cinematografico, in linea con la poetica e con le atmosfere buie, cupe e crude(li) che hanno caratterizzato le passate pellicole realizzate brillantemente da Guillermo del Toro: “Il labirinto del Fauno” e “La spina del diavolo”.
Calata in quest’ambiente totalitario e minaccioso, ritroviamo la vicenda del più famoso burattino al mondo, quel Pinocchio del celebre libro di Carlo Collodi, ma troviamo anche una riscrittura quasi radicale, tratteggiata con sapiente libertà dal regista e sceneggiatore, dell’intero capolavoro collodiano, del quale lascia intatti i passaggi emblematici, i personaggi fulcro e un certo fascino che animava il libro, ma che usa come spunto iniziale per poi rielaborarlo dall’interno, sondando nuovi orizzonti, ribaltandone completamente il senso e la morale e arrivare fino a una vera e propria riflessione meta-cinematografica.
Pinocchio è infatti qui ancora più coerentemente ed efficacemente un personaggio ribelle, insofferente a dittatura e totalitarismi, regole proibitive e divieti, restrizioni e limitazioni di qualsiasi genere: un burattino che ad esempio rifiuta la partecipazione alla guerra e alle gerarchie militari, o che sbeffeggia il regime e addirittura lo stesso Duce. Insomma, vero simbolo di una pura, irriducibile dissidenza.
Ma è anche un burattino che si relazionerà più con un padre che ha perso il suo vero figlio (Carlo) e con streghe e demoni dell’aldilà, piuttosto che con creature strane e Fata Turchina.
Il regista lo mette in scena nella maniera a lui più congeniale, seguendo il solco delle sue ossessioni e soprattutto la scelta stilistica dello stop-motion (è il suo esordio in questo tipo di animazione frame by frame) con dei veri e propri pupazzi di plastilina.
La realizzazione in stop motion è curatissima, eccellente (si veda la perfetta fluidità nei movimenti di cose e personaggi), e soprattutto ben funzionale alla notevole resa visiva d’impatto visionario e spettacolare di certe scene già note o del tutto originali.
Dal cartoon Disney del 1940, Pinocchio è diventato il protagonista dei film di Giannetto Guardone, Roberto Benigni, Matteo Garrone e Robert Zemeckis, per citarne alcuni. Quello di Guillermo del Toro è una fiaba dark di un’autenticità narrativa interessante e affascinante, che rinuncia al consueto elogio della morale insita nel libro di Collodi (non dire bugie, rispetta le regole) e umanizza ogni tipo di sentimento, soprattutto di quelli più dolorosi (Pinocchio è incapace di colmare la scomparsa del figlio di Geppetto, e quest’ultimo non riesce a vedere in lui il figlio perduto), ci fa riflettere sull’infanzia compromessa dagli orrori della guerra, e ben approfondisce tematiche universali o attuali.
«Ho pensato a una versione di Pinocchio in stop-motion che fosse più vicina a Frankenstein, con un personaggio catapultato nel mondo che, senza preconcetti, deve scoprire chi è, qual è il suo ruolo e perché esiste», ha spiegato del Toro in un’intervista. E infatti il nostro prossimo non teme chi è sconosciuto, ma chi ha il coraggio di conoscere se stesso, come fa Pinocchio.
Nella vicenda da lui vissuta, il piccolo burattino per merito della propria purezza e innocenza, riuscirà a sopravvivere e ad emergere dall’oscurità proprio con la sua anima rimasta intatta.
Non c’è più il bisogno di una sofferta redenzione nel percorso di Pinocchio, bensì tutto il contrario: Geppetto riuscirà alla fine ad avere una seconda occasione come padre proprio grazie a Pinocchio, e, soltanto nell’(elogio dell’) anticonformismo e nella non-omologazione praticati dal protagonista, ci può essere autentica libertà di pensiero, di creatività, di arte.
Pinocchio vuole scoprire e assaporare tutto ciò che c’è nel mondo, vuole ballare, cantare, sentirsi vivo, vitale, e va fiero della propria unicità/”diversità”.
E’ in questo contesto che il regista allora tenta anche di alleggerire le atmosfere cupe, aggiungendo al film sia una componente “comica”, sia una “musical” (con le opere musicali di Alexandre Desplat e i testi di Roeben Katz). A differenza di precedenti adattamenti, questa versione è dura, matura, più adulta, più dalla parte dei mostri, dei “diversi”, degli emarginati e di chi soffre.
Alla pari dell’ambiziosa volontà di osare del suo piccolo protagonista, anche il regista messicano ha avuto l’ardire di approcciarsi originalmente all’opera di Collodi, eliminando, fondendo e aggiungendo sequenze e differenti personaggi: la Fata Turchina diventa ad esempio lo Spirito del Bosco e Morte, due sorelle mascherate che donano e tolgono la vita (con la voce di Tilda Swinton); il Conte Volpe/Christoph Waltz è una sorta di fusione tra la Volpe e Mangiafuoco; il Grillo Parlante (qui Sebastian, con la voce di Ewan McGregor) il narratore quasi onnisciente; il Paese dei Balocchi diventa qui campo d'addestramento per giovani fascisti, e nessun altro adattamento di Pinocchio fino ad oggi, aveva tentato di esplorare il passato di Geppetto, ma in definitiva di tutto ciò che si cela dietro o dentro la storia di Collodi.
Tecnicamente molto raffinato, nella forma, nello stile e nel design (ogni personaggio è pieno di sfaccettature, di dettagli, di cura), nel montaggio, nelle scenografie (vedi il circo o alcuni struggenti paesaggi), nella fotografia (la scelta cromatica, seppur ampia, predilige la prevalenza dell’ambra, che garantisce un’atmosfera magica e realistica al tempo stesso); il cartoon è coinvolgente in molti momenti; ha forse alcuni difetti nell’essere un po’ troppo lungo, verboso, ed “eccedente” (di dialoghi e situazioni), ma resta nel suo complesso una godibile, riuscita, riflessiva ed emozionante pellicola degna di essere vista, ammirata, apprezzata.
Questo nuovo adattamento di Guillermo del Toro sa esaltare gli aspetti più strazianti e umanistici dell’intera vicenda (il potere unificante del dolore e della morte, ma anche dell’amore e della vita), e alla fine riesce ad immergere lo spettatore nella più grande e terribile delle avventure, che da sempre e per sempre è soltanto l’esistenza umana. Come tutte le favole, anche questa nuova versione nasce da frammenti di realtà rielaborati, e sopravvivrà alla realtà; perché il “Pinocchio” di Guillermo del Toro è una fiaba che non sa soltanto di meraviglia, ma anche e soprattutto di autenticità…
CURIOSITA’:
1. Nel 2008 Guillermo del Toro annunciò l'intenzione di realizzare un nuovo adattamento di “Pinocchio”. Nei nove anni successivi il progetto subì notevoli rallentamenti, anche a causa dell'alto budget che la tecnica passo uno voluta dal regista avrebbe richiesto. Dopo aver abbandonato il progetto nel 2017, nel 2018 Netflix ha acquistato i diritti del film, annunciato il 22 ottobre dello stesso anno. (fonte: Wikipedia).
2. Primo film in stop-motion per Guillermo del Toro, ma non la sua prima esperienza con l’animazione, il regista ha diretto episodi delle serie tv “Trollhunters: I racconti di arcadia”, “3 in mezzo a noi: I racconti di Arcadia” e un episodio de “I Simpson” (“La paura fa novanta XXIV”).
3. “Pinocchio” ha ottenuto varie candidature durante la stagione dei premi cinematografici USA, e, tra i più importanti ci sono: la nomination ai Producers Guild Awards nella relativa sezione; le 3 nomination ai Critics’ Choice Movie Awards, e le 3 nomination ai Golden Globe, tutte per il miglior film d'animazione, la migliore colonna sonora e la migliore canzone originale "Ciao Papa" (quest’ultime due firmate da Alexandre Desplat).
Ha vinto il premio di miglior Film d’animazione dell’anno ai 50° Annie Awards (assegnati dall’industria dell’animazione americana), ai Golden Globe, ai Critics’ Choice Movie Awards e ai Producer Guild Award.
Ai Bafta ha ricevuto 3 nomination: miglior film d’animazione (che poi ha vinto), scenografia e musica; mentre ai premi Oscar ha ottenuto soltanto la candidatura per il miglior film d’animazione, che poi ha meritatamente vinto.
4. Il premio Oscar Mark Gustafson, co-regista con Guillermo del Toro di “Pinocchio”, e regista dell’animazione di film come “The Adventures of Mark Twain” (1985), “Claymation Easter” (1992), “The PJs” (1999–2000) e di “Fantastic Mr. Fox” (2009), è morto per un attacco cardiaco il 01 Febbraio 2024, all’età di 64 anni.
VOTO: 7½ / 8
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