Regia di Guillermo Del Toro, Mark Gustafson vedi scheda film
La storia di Pinocchio raccontata da un Guillermone nazionale in grandissima forma. Tecnicamente straordinario e narrativamente unico e coraggioso.
Del Toro ha reso proprio il racconto di Collodi, lo ha destrutturato a suo piacimento, ed è esattamente ciò che ci si aspetterebbe da un regista-autore come lui. Il suo Pinocchio è, come lo sono la maggior parte delle sue opere, un cammino avventuroso per imparare a interiorizzare, a normalizzare e a elaborare la morte, il lutto e la sofferenza che provoca l'ineluttabile addio alla vita terrena.
I personaggi secondari e il contesto narrativo del film vengono catapultati nell'epoca fascista (altro tema ricorrente nella poetica di Del Toro), resi spesso caricature del marciume che il regime rappresenta. Molte vicissitudini vengono rievocate attraverso una chiave di lettura meno formativa e più spirituale rispetto a quella del racconto originale. In questo, la presenza delle sfingi-chimere custodi della morte (come in Hellboy 2: The Golden Army) e la reinterpretazione militare del "paese dei balocchi" rappresentano le parti di trama e di messa in scena più riuscite e più autoriali in assoluto del lungometraggio.
Nonostante gli inserti musical-show tunes non godano di una contestualizzazione e di una resa particolarmente riuscite (tranne quelli inscenati durante gli spettacoli del burattino) e le musiche di Desplat non risultino sempre incisive, il film coinvolge e si mostra magnificente nelle tecniche realizzative: un'animazione in passo-uno curata e scenograficamente suggestiva (con il key-frame dei movimenti rapidi quasi sempre scorrevole), una fotografia - in parte - digitale (vedasi l'aura delle sfingi) di taglio espressionista visivamente immersiva e degli effetti speciali - quasi tutti analogici - che ben si amalgamano alla resa scenica complessiva (come per esempio gli incontri con il pesce cane e i movimenti del fuoco e dell'acqua, chiari riferimenti stilistici ai maestri della stop-motion cecoslovacca come Barta, Trnka e soprattutto Karel Zeman).
In definitiva, com'è quest'ultimo film su Pinocchio? È un lungometraggio amabile, fiabesco e reale allo stesso tempo, concepito e creato sullo stampo delle opere passate che hanno definito la poetica di Del Toro (da Il Labirinto del Fauno a La Forma dell'Acqua). Non è un capolavoro, tuttavia ricorda - soprattutto a noi italiani - quanto messaggi semplici ma mai banali come il rispetto del diverso e l'accettazione dell'altro (per quello che è) siano imprescindibili anche nei nuclei sociali più ristretti e, alle volte, più fragili come le famiglie.
Se, dunque, all'ultima fatica del regista messicano si possono criticare - solo in parte - dei comparti del film, è anche vero che quest'opera rappresenta un unicum in questo 2022 ormai ricco di alternative ai film mediocri di case di produzione come Walt Disney Animation Studios e Pixar (aspettando il nuovo Gatto con gli Stivali di casa Dreamworks). Il capo d'opera dell'anno è senza alcun dubbio Wendell & Wild di Henry Selick - anche questo, come Pinocchio, realizzato in stop-motion - e il lungometraggio fiabesco più riuscito è My Father's Dragon di Nora Twomey, tuttavia l'opera di Del Toro riesce a mostrare il racconto di Collodi sotto una nuova - e autorialmente propria - luce, una riedizione della trama classica organizzata secondo i precisi dettami di una poetica ormai consolidata in anni e anni di attività artistica. Non so cosa potrebbe succedere agli Academy Awards, ma vedrei molto bene questo film come vincitore del premio, anche per simboleggiare una presa di posizione netta della commissione contro i regimi che ancora oggi corrodono il mondo. Non manca molto alle nominations e, visto che quest'anno le grandi major hanno toppato alla grande, non sia mai che possa vincere un "outsider" del privé Disney & Spielberg. Dopo tanti anni di vittorie ridicole, sarebbe davvero un successo.
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