Regia di Rithy Panh vedi scheda film
Il regista cambogiano riusa e abusa del dispositivo di L'immagine mancante per dar vita a un trattato sulle forme del potere, cinema compreso
C’era una volta un orco, così inizia la favola nera di Rithy Panh, un teorema in cui Storia e distopia vanno a braccetto: in scena, con un dispositivo che reitera e strema quello di L’immagine mancante, solo statuine d’argilla allestite in diorama senza vita, “mosse” dalla voce narrante. L’orco è l’ideologia, e tutti i volti con cui ha plasmato l’umanità: dai totalitarismi alla corsa alla tecnologia, fino alla dittatura delle immagini odierna e poi oltre, verso un futuro che sa di utopia antispecista (il COVID-19 è narrato come rivincita degli animali). «Anche il cinema è una presa di potere, anche il cinema è un mostro» afferma Panh, con le parole del sodale Christophe Bataille: Méliès e Fritz Lang, Franju e Marker sono i testi da cui ripartire, in un trattato - cacofonico, provocatorio, inerte - sull’immagine eccedente.
Ilaria Feole, voto: 6
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