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My Small Land

Regia di Ema Kawawada vedi scheda film

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La recensione su My Small Land

di port cros
7 stelle

UDINE FAR EAST FILM FESTIVAL 24

 

Una famiglia curda di richiedenti asilo risiede ormai da anni in Giappone: il padre ricercato in Turchia lavora come manovale nelle demolizioni, un figlio bambino e una figlia diciassettenne, Sarya è quasi perfettamente integrata, tra studi che la proiettano verso l'università e il lavoro di commessa in un piccolo negozio per contribuire al bilancio familiare. La ragazza nonostante il suo percorso vive ancora sospesa tra due mondi culturali spesso non facilmente conciliabili, con il disagio di spiegare in continuazione la provenienza da un Paese che nemmeno esiste, al punto che è più facile far credere a tutti di essere tedesca.

Tutto è compromesso quando il padre riceve il rigetto della sua domanda di asilo: gli viene letteralmente bucato il permesso di soggiorno e tutti i familiari sono sottoposti a severe restrizioni, non potendo più uscire dalla Prefettura di residenza, Saitama . Questo significa per Sarya non poter più continuare il lavoro da commessa a Tokyo né proseguire gli studi universitari. Man mano la situazione peggiora ulteriormente, con il padre rinchiuso in un centro per rimpatri mentre la vita della ragazza e del fratellino va in pezzi.

 

Unica ancora la simpatia amorosa con l'(ex) collega giapponese Sota ed il supporto della comprensiva e liberale madre di lui, con cui Sarya scopre un modello di famiglia diverso dal proprio, dove ha sempre dovuto confrontarsi con un padre che, seppur amorevole disposto a sacrificarsi per i figli, è al contempo ancora legato alle tradizioni del suo popolo, conservatrici in materia di sessualità femminile e ancora dominate dal costume dei matrimoni combinati, per cui il papà già la vedeva sistemata con un giovane connazionale curdo.

 

La regista esordiente Emma Kawawada, a cui certamente giova essere stata assistente alla regia del grande Hirokazu Kore-eda, racconta con tocco delicato ma sicuro questo spaccato drammatico su una famiglia immigrata che si scopre indesiderata dal Paese di elezione, tema già ben noto alle cinematografie europee ed occidentali ma abbastanza inedito per quella nipponica, dove l'immigrazione dall'estero è un fenomeno ridotto. Con tono intimo, tenero ed empatico, ma mai piagnucoloso o vittimista, l'autrice trasmette senza ricatti morali una sommessa ma decisa denuncia sociale sulle rigide politiche migratorie e di asilo del suo Paese.

 

Voto: 6,75 su 10.

 

 

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