Regia di Franco Amurri vedi scheda film
Un anno fa offrire un film a I Fichi d’India, coppia di clown stralunati e candidi da cabaret e da svogliato neovarietà televisivo, suonava come una scaltra intuizione produttiva, oggi è poco più che una mossa avventata. Sono secoli che traghettare comici e aspiranti attori dal piccolo schermo al cinema si rivela più pericoloso del transito gestito da Caronte. In questi dodici mesi l’effervescenza della popolarità Tv del duo ha perduto quasi tutte le bollicine e le loro apparizioni suscitano ormai una disarmante e ripetitiva tristezza. Per non affaticarsi si parte per il titolo da un tormentone, si comincia in una rete televisiva di quart’ordine specializzata in televendite, dove Max e Bruno (il copione non vuole confondere lo spettatore e conserva i nomi veri) si scatenano nel numero che li ha resi, per una dozzina di minuti, famosi. Non vendono più improbabili appartamenti, ma invenzioni. Due cervelloni senza successo, costretti, per vivere, ad annusare ascelle pelose e pannolini nella fabbrica di profumi e cosmetici dello zio (il bravissimo Giustino Durano). Tra un ictus e un’amnesia, il parente ricco sta per morire e per dare sostanza a una sceneggiatura all’italiana, blanda come una camomilla (i soliti quadretti messi in fila), i due protagonisti si travestono da donna, si mettono in viaggio con lo smemorato verso la Sicilia, lavano maiali, fanno gli animatori in un supermercato, si agitano. Sotto vuoto spinto.
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