Regia di Anthony Asquith vedi scheda film
Vigoroso e solido dramma processuale, ricco di tensione, con alcuni ben riusciti colpi di scena. Questa storia di scambio di identità va a toccare temi delicati e profondi, come appunto l'identità della persona, e l'implicazione di questa nei rapporti con gli altri, tanto più coinvolti quanto più sono vicini (come la moglie). A questo discorso si sovrappone quello dei tremendi effetti che la guerra ha sugli individui, che possono essere così traumatizzati e spaventati quasi da non essere più riconoscibili, o da essere confondibili con altri. Sullo sfondo c'è poi l'interessante discorso sui tremendi effetti che può avere l'invidia su chi non la respinge ma anzi la coltiva. Il compagno di prigionia del protagonista ne viene così divorato da perdere ogni senso del bene e del male, addirittura da spersonalizzarsi per imitare la persona oggetto della sua tremenda invidia. Al sua base ci sono il desiderio di ascesa sociale, di prestigio, e di denaro, perché egli sente come insopportabile la sua appartenenza alle classi più basse. Per di più è un attoruncolo frustrato, che non riesce ad ottenere l'agognato successo. E tanto basta.
Non mancano alcune venature psicanalitiche, negli ambiti del buon senso, che offrono alcune annotazioni interessanti su come certi avvenimenti particolarmente dolorosi vengano coperti dalle perdite di memoria.
Buono il titolo italiano: si riferisce ad una frase del protagonista ed aggiunge qualcosa al problema che è al centro del film. Esso si regge non poco sulla straordinaria interpretazione di Dirk Bogarde, che riesce a rendere molto bene due personaggi sfaccettati e diversi tra loro. Brava anche la De Havilland. Tutto considerato, non si capisce perché la TV italiana nasconda la pellicola con siffatta cura.
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