Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
Il film della consacrazione del regista turco, naturalizzato italiano, è l’apripista di quella sua filmografia caratterizzata non solo dagli strepitosi cast corali, ma anche e soprattutto dall’intima rappresentazione di stralci della sua vita, di episodi dei quali il regista si avvale, trasformandoli in base alle sue esigenze, necessari per rendere lo spettatore parte integrante del racconto, per farlo sentire parte della famiglia, caratteristica tipica e apprezzabile dei film del regista turco. Si parla d’amore, d’amicizia di delusi e delusioni, di cambiamenti, di morte, di illusioni e speranze. Di incontri fortuiti e di altri predestinati. Di cultura, di una vita vera nella sua semplicità e delle battaglie giornaliere, eterne che ognuno è costretto ad affrontare per non affogare. Osannato dalla critica, numerosi premi, perfino una nomination al Festival di Berlino. Margherita Buy e Stefano Accorsi sono sublimi, in armonia piuttosto che in sintonia, complici di un destino atroce. Buttate un occhio però anche a Gabriel Garko che quasi come una zavorra sembra restare lì a ricordarci che il mondo fa piuttosto schifo ma che, sotto sotto, qualcosa di buono cela sempre. Il resto, con il senno di poi, è tutto l’Ozpetek che conosciamo: tra battute, provocazioni e confessioni, uno dei pochi registi ad essere complice, burattino egli stesso prima che burattinaio. Unico nel suo genere, riconoscibile da subito; indimenticabile, viscerale per sempre.
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